Arriva la benedizione del vescovo: “È bene che il governo partecipi”
Monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, è una delle voci della Chiesa italiana più attente ai temi della vita e della famiglia.
Quando si trattò di tentare di salvare Alfie Evans, il bimbo al quale l’ospedale di Liverpool voleva staccare la spina perché il piccolo non avrebbe avuto speranze di guarire, monsignor Cavina fu incaricato da papa Francesco di tenere i rapporti tra la famiglia Evans e l’ospedale Bambin Gesù di Roma.
Sul Congresso mondiale delle famiglie si è creata una forte polemica politica. Lei ritiene opportuna la presenza di rappresentanti del governo all’appuntamento?
«Non vedo il problema se dei rappresentanti del governo partecipano a un congresso dove si parla di matrimonio e famiglia. Peraltro la nostra Costituzione all’articolo 29 stabilisce che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Non conosco nel dettaglio il programma dell’incontro di Verona, ma si tratta di un appuntamento internazionale giunto alla tredicesima edizione e che si svolge in Italia. Chi ha un ruolo di rappresentanza istituzionale deve prendere parte al dibattito sul bene comune che mette a tema vita, famiglia ed educazione».
Il Congresso parla di un «vento di cambiamento» a favore della famiglia: lo coglie anche lei?
«Credo che la famiglia stia attraversando una crisi profonda e un vento del cambiamento possa venire solo dal cuore dell’uomo che si riconosce creatura. Ma apprezzo l’impegno laico degli uomini di buona volontà che si impegnano per sostenere quella che san Giovanni Paolo II ha definito in più occasioni la cellula fondamentale della società. Affermare la differenza complementare tra uomo e donna, alzarsi in piedi contro ogni attacco alla vita, dal suo concepimento fino alla sua fine naturale, non sono questioni confessionali, ma disponibili al dibattito di chiunque riconosca che esiste una natura umana».
Perché in Italia c’è tanta difficoltà a difendere le famiglie?
«In Italia, come altrove, soprattutto in Occidente. Credo che la risposta l’abbia fornita papa Francesco quando ha detto che oggi culturalmente si parla di famiglie diversificate, ma, ha detto, la famiglia umana come immagine di Dio, uomo e donna, è una sola. La difficoltà nel parlare di famiglia nasce da qui, abbiamo davanti un oggettivo problema antropologico: non siamo più capaci di intenderci su che cosa sia l’uomo».
Quando su incarico del Papa lei tenne i rapporti tra l’ospedale Bambin Gesù e la famiglia di Alfie Evans, disse che il caso «ha avuto il merito di risvegliare le coscienze di tanti». Che cosa si può fare per ridestare le coscienze anche nella difesa della famiglia?
«Riaprire spazi autentici alla ragione, una ragione capace di andare oltre al proprio io e le sue voglie, per citare Benedetto XVI. Solo questa ragione permette di riconoscere il limite che ci definisce come uomini e ci apre a una prospettiva altra, una ragione che anche nello spazio pubblico, al di là della fede, riconosca comunque dei valori pre-politici che non ci lasciano in balia delle mutevoli maggioranze».