Il giudice Nordio seppellisce i sinistri: “Son sessantanni che rompete le palle con il pericolo fascista”
Gli allarmi non lo allarmano: “Sono sessant’anni che sento urlare al pericolo fascista in Italia. Evocare il rischio autoritario è un’enorme balla”. Lo scandalo? Fasullo: “La politica dell’immigrazione di Salvini non è un attentato all’idea liberale. È la stessa linea che hanno adottato tutti i paesi del mondo occidentale”. Al “cuore”, ritiene sia giusto contrapporre la “testa”: “Era necessario mettere un freno all’immigrazione incontrollata”. La toga di Carlo Nordio – ex procuratore aggiunto di Venezia, uno dei protagonisti della stagione di Mani Pulite – non è mai stata rossa: “Presi la tessera del partito liberale nel 1963 e la restituii quando entrai nella magistratura. Ho votato molti partiti diversi, ma sono rimasto sempre fedele ai principi liberali”.
Hanno detto che c’è lui dietro il cambio di strategia del capo della Lega sulla vicenda Diciotti: “In realtà, non ho mai incontrato Salvini. Però non escludo che si sia fatto influenzare da ciò che ho scritto sulla vicenda”. Senz’altro è lui il giurista che Salvini cita più spesso: “Da ascoltare e condividere”, ha twittato il ministro, per rilanciare un’intervista di Nordio al Tg2 contro la minaccia di non applicare il decreto sicurezza di alcuni sindaci, ai quali il messaggio era diretto: “Alla faccia di quelli che preferiscono pensare ai diritti dei clandestini anziché ai problemi degli italiani”, scrisse.
Nordio ha polemizzato con l’idea di mettere sotto inchiesta la politica sui migranti del governo. Ha messo in guardia la maggioranza dall’esitazione sulla linea della fermezza, una divisione secondo lui usata dai trafficanti per influenzare emotivamente il dibattito pubblico italiano. Ha contestato la scelta di Mimmo Lucano di appellarsi alla legge di Antigone per violare la legge dello stato. Ha parlato dei paradossi umanitari e dei loro cattivi effetti. Ha spiegato perché la legittima difesa non è un via libera ai giustizieri: “Anzi, è una legge sinceramente liberale”, dice all’HuffPost.
Dottor Nordio, ma lei è un salviniano?
No, non sono salviniano. Considero semplicemente efficace l’energia con cui il ministro dell’interno affronta la questione dell’immigrazione, al netto di certe espressioni un po’ brutali e rudi.
Si può separare Salvini dal modo in cui si esprime?
Il modo in cui una persona comunica non sempre rispecchia ciò che è. C’erano democristiani che si esprimevano con soavità vescovile, eppure agivano con il pugno di ferro.
Lei è un liberale.
Sì, lo ero già prima di frequentare l’università di Padova, negli anni in cui i fascisti e i comunisti se le davano in strada.
Salvini può essere considerato liberale?
Direi che un a-liberale, nel senso che non si è posto il problema del liberalismo.
E questo non fa già scattare un’apprensione, in un liberale?
Quel che mi preoccupa è la politica economica del governo di cui Salvini fa parte. Quella sì anti liberale. Così come l’isolamento europeo in cui l’Italia rischia di finire.
La solitudine non è anche colpa della politica italiana sull’immigrazione?
Sull’immigrazione c’è una grande ipocrisia. Tutti gli stati europei hanno chiuso le loro frontiere, ma solo noi italiani facciamo la figura di quelli brutti, sporchi e cattivi.
Però il governo italiano ha sfidato apertamente l’Europa.
Ma era doveroso alzare la voce, Salvini è stato il primo ed è stato anche coraggioso.
C’è chi lo accusa, nel caso Diciotti, di aver usato degli esseri umani per un fine politico.
Quando c’è di mezzo la vita di un essere umano la prima cosa da fare è salvarla. Tratte le persone in salvo, però, il problema smette di essere umanitario e diventa politico. Nell’immediato, certe scelte possono sembrare ingenerose. Nel lungo periodo, sono le uniche che pagano.
Ma l’immigrazione è veramente un gran problema dell’Italia?
Lei non può negare che la paura, connessa all’immigrazione incontrollata, sia presente nella società italiana. Si sente, si percepisce. Non è un sentimento che si può rimuovere. Al contrario, si deve gestire, controllare, per non farlo esplodere in maniera ancora più violenta.
Lei sta con il popolo o con l’élite?
Sto con entrambi. Perché credo nei migliori; e credo nella sovranità popolare. Perciò ritengo che la legge debba rappresentare la volontà della maggioranza, mentre la sua esecuzione deve essere affidata alle persone più preparate e competenti.
È orgoglioso di essere un borghese?
Sinceramente, credo che questa categoria sia ormai priva di significato. Ma se la sua domanda allude alla mancanza di una cultura borghese in Italia credo che sia effettivamente così: è sempre mancata, del resto.
Perché?
Perché la cultura liberale è stata compressa da tre ideologie che hanno dominato la nostra vita pubblica: il cattolicesimo, il fascismo e il comunismo.
Lei come è diventato liberale?
Comprando e leggendo, piano piano, i libri dei pensatori illuministi francesi, da Voltaire sino ad Aron. Inorridii quando, all’università, sentii cantare lo slogan degli studenti sessantottini frencesi: “È meglio stare con Sartre, anche se ha torto, che con Aron, pure se ha ragione”.
Come fu il ’68 per uno studente liberale?
Una spaventosa rottura di palle. Padova era una città violenta. Ogni giorno c’erano zuffe, agguati, scontri. Condannavo la violenza dei rossi e quella dei neri, ma condannavo soprattutto la stupidità di entrambi. Mi hanno rovinato la giovinezza.
Le hanno mai dato del fascista o del comunista?
No, mai, né l’uno né l’altro: più volte mi hanno dato dello stronzo.
Cos’era, invece?
Mi riconoscevo e mi riconosco, quasi completamente, nella frase di Pannunzio: “Progressista in politica, conservatore in economia, reazionario nei costumi”.
Perché quasi?
Perché nel costume non sono reazionario. La rivoluzione sessuale, per esempio, era doverosa, ma è stata fatta troppo velocemente. Ha creato nevrosi sia negli uomini sia nelle donne.
Quali?
Lei deve pensare che, quando andavo al liceo, le ragazze venivano in classe con il grembiule nero e il collarino bianco. Due anni dopo, le ritrovammo nelle aule dell’università con le minigonne e le canne in mano. Fu uno shock. L’uomo è stato abituato per millenni a dominare la donna. All’improvviso, si affermò giustamente la parità. Ma ancora oggi l’uomo si porta dentro un imprinting secolare, che deve reprimere e che si esprime o sotto forma di nevrosi (la paura della donna), oppure di violenza sulla donna.
Ma era una rivoluzione, e le rivoluzioni non si possono fare garbatamente, o no?
Per questo sono contro la rivoluzione, che finisce sempre per essere una prefazione sanguinosa di un libro che non si scriverà mai, come diceva Rivarol. I pochi effetti positivi che ha non compensano tutto il male che produce. Perciò le preferisco l’evoluzione.
Il rapporto tra politica e giustizia in Italia evolverà mai?
Non fino a quando i processi saranno utilizzati come degli strumenti di lotta politica per eliminare l’avversario.
Il problema è solo politico?
Oggettivamente, c’è un’interferenza continua ed indebita della magistratura nella politica. Ogni volta che qualcuno assume una posizione di rilievo lui o i suoi familiari vengono raggiunti da un’indagine giudiziaria.
Lei anche indagò dei politici.
Infatti, ho sentito su di me tutta la frustrazione che ciò comporta. Indagavo perché ero obbligato dalla legge a farlo, ma le mie inchieste finivano per avere delle conseguenze politiche, perché erano strumentalizzate dall’una o dall’altra parte, al di là della mia volontà. Questo è un problema per la politica. Ma anche per i magistrati.
Come si può rompere il circolo vizioso?
Si può rompere se la politica smette di farsene condizionare. Cioè, se tutti i partiti smettono di chiedere un passo indietro a un politico che riceve un avviso di garanzia, un rinvio a giudizio o anche una condanna di primo grado. Io, questa, la considero un’eresia aberrante.
I cinque stelle hanno votato contro il processo a Salvini: è un passo in questa direzione?
Considerato il punto da cui partivano, cioè un giustizialismo piuttosto emotivo, credo lo sia. Sebbene mi abbia fatto rabbrividire quel quaranta per cento di loro che ha votato sulla piattaforma Rousseau a favore dell’autorizzazione a procedere.
Perché la stupisce?
Perché è schizofrenico mandare a processo non solo Salvini ma anche Conte, Toninelli e Di Maio, cioè i rappresentanti del governo che hanno votato alle elezioni.
Forse per questo Giuliano Ferrara dice che bisognerebbe combatterli per ciò che sono, non per ciò che fanno.
Credo sia proprio il contrario. La politica non è come l’etica: va giudicata dai risultati, non dalle intenzioni.
E il suo giudizio qual è?
Positivo sull’immigrazione. Nettamente negativo sull’economia.