“Noi agenti in 4, i nigeriani in 40. Così fanno guerra allo Stato”
Nessuno è sorpreso, a Ferrara. Se lo aspettavano e in fondo i segnali c’erano davvero tutti.
In Gad, dove ieri sera è esplosa la “rivolta dei nigeriani”, i problemi sono all’ordine del giorno. Spaccio, droga, immigrazione, ma anche crimini, aggressioni e violenze. In una parola: degrado. Solo lo scorso luglio le bande di immigrati si sono fronteggiate in una battaglia (in)civile a suon di mannaie. Gli agenti li chiamano “fatti comuni”, eventi quotidiani da fronteggiare con rassegnazione. Non proprio il sinonimo della legalità.
Il Gad della città degli Estensi è un’area limitrofa alla stazione, caratterizzata da un alto grattacelo diventato condominio di numerosi stranieri. “Vivono tutti in quell’area – racconta alGiornale.it David Marinai, segretario provinciale del Fsp Ferrara – E il degrado va avanti da almeno cinque anni”. Di arresti la polizia e i carabinieri ne fanno tanti, peccato che spesso vengano vanificati in breve tempo. Ogni operazione si trasforma in una “goccia nel mare”: chi viene fermato per motivi di droga poche ore dopo è già libero e torna in Gad come se nulla fosse. “È la norma”, dice Marinai. E c’è un motivo.
Da quando gli immigrati (molti richiedenti asilo, altri irregolari) hanno “preso casa” in quella zona di Ferrara le grandi dosi di coaina o eroina “le tengono negli appartamenti”. Non più in tasca. “Quando li catturiamo – spiega l’agente – li troviamo con addosso solo pochi grammi di droga”. In questo modo, il reato che si configura è quello di possesso e spaccio “di modica quantità”, un “reato minore” che “non prevede il carcere”. È problema di legge, non di giudici. Il traffico si è evoluto, ma la normativa è rimasta “indietro”. Così il risultato è lo stesso: i migranti tornano sempre in Gad liberi di portare avanti la loro attività criminale.
Impossibile fare un blitz negli appartamenti. “Non si riesce a capire dove vivono e così una perquisizione è difficile da realizzare”, spiega Marinai. Basterebbe chiederlo a loro, ma “fingono di non ricordarsi e non si possono mica forzare”. Così l’illegalità dilaga, si sedimenta, prende forza. E poi esplode come ieri sera.
Marinai è tra gli agenti della polizia che ha controllato la zona dopo la rivolta degli immigrati. Una pattuglia aveva inseguito un migrante che, nella fuga, è stato investito da un’auto in via Po’. La notizia (falsa) del decesso dell’immigrato ha fatto scattare la rabbia dei nigeriani: cassonetti in strada, bottiglie rotte, grida, minacce. Per poco non è esplosa una guerriglia urbana. “Merito dei Carabinieri se tutto è tornato alla normalità”, spiega l’agente. Ma c’è mancato davvero poco.
Marinai non la chiama mai “mafia nigeriana“, perché “non ne ho l’autorità”. Ma è a quello che sembra pensare. “I fatti di ieri – continua – dimostrano che esiste un fenomeno di coalizione di nigeriani”. Le bande rivali “solidarizzano” contro la polizia, superano le divisioni in nome della “guerra contro lo Stato”.
Alla base della reazione ostentata dei nigeriani c’è il “senso di impunità” in cui sguazzano. “Non deve succedere più”, sospira il segretario del Fsp. Ma la miccia è davvero corta. “Qui a Ferrara siamo pochi, quando usciamo di pattuglia siamo quattro contro quaranta”.