Il giudice che vuole Salvini in galera è lo stesso che assolse gli scafisti facendoli scarcerare
Milano – I magistrati che si sono incaponiti contro il ministro dell’Interno Matteo Salvini e che ora ne chiedono l’arresto sono noti.
Si tratta di Nicola La Mantia, giudice civile della quarta sezione fallimentare, Sandra Levanti, giudice civile e Paolo Corda, giudice penale della quinta sezione. Proprio quest’ultimo, Paolo Corda, era già finito sulle pagine dei giornali perché, nel dicembre di tre anni fa, aveva scarcerato due scafisti nordafricani.
La motivazione? È vero che hanno traghettato illegalmente 230 migranti ma l’hanno fatto «occasionalmente». Ossia: non erano scafisti di professione. Ergo: via le manette dai polsi, scattate il 14 novembre anche in base ai racconti dei trasportati, e libertà quasi assoluta; niente carcere per i «taxisti» ma soltanto obbligo di firma due volte alla settimana presso la caserma dei carabinieri e relativo soggiorno al Cara di Mineo. Il giudice Corda, all’epoca dei fatti membro del Tribunale del riesame, ha accolto in pieno la tesi dei difensori degli scafisti secondo cui c’è una bella differenza tra chi «è al soldo di un’organizzazione dedita al traffico dei migranti e lo scafista occasionale e obbligato». Per la toga, poi, non sussistevano le esigenze cautelari perché i due nordafricani non avrebbero potuto reiterare il reato «una volta raggiunto lo scopo: entrare in Italia».
Paolo Corda ha ridato la libertà agli scafisti e dato ragione a questi ultimi che hanno sostenuto di essere stati minacciati da un gruppo di non meglio identificati libici e indotti a vestire i panni dei cattivi. Insomma, non aguzzini ma vittime. Secondo la versione dei fatti offerta senza riscontro dai due indagati, poi, la presunta organizzazione libica li avrebbe da un lato minacciati con le armi ma dall’altro avrebbe loro riconosciuto pure un piccolo «sconto» sul costo del biglietto per l’Italia in cambio della disponibilità a guidare i gommoni verso il nostro Paese.
Eppure gli uomini della Polizia di Stato Squadra Mobile Questura di Ragusa con l’aiuto di Guardia di finanza e carabinieri avevano sottoposto al fermo degli scafisti perché «le immediate indagini hanno permesso di raccogliere gravi indizi di colpevolezza a carico degli scafisti. I testimoni hanno riferito di aver notato gli scafisti una volta a bordo del gommone e che quest’ultimi avevano raggiunto accordi con i libici prima della partenza». E ancora, si legge nelle carte: «Nessuno dubbio per i migrati, che hanno pagato mediamente 600 dollari cadauno, sulle responsabilità degli scafisti che hanno condotto i gommoni. In un caso, gli scafisti individuati sono due in quanto uno si è occupato del timone e l’altro della bussola. Al termine delle indagini, tutti gli scafisti sono stati condotti in carcere a disposizione dell’autorità giudiziaria di Ragusa».
Ma poi è arrivato il giudice Corda a toglier loro le manette dai polsi; lo stesso giudice che ora vorrebbe arrestare il ministro dell’Interno. ilgiornale