Medici pagati da aziende del farmaco, il Codacons pubblica i nomi online
VENEZIA Impossibile non ripensare alla maxi inchiesta aperta nel 2003 dall’allora procuratore di Verona, Guido Papalia, sulla Glaxo SmithKline, accusata di aver distribuito mazzette, regali e viaggi a medici pronti a prescriverne i farmaci a scapito di quelli della concorrenza. Sei anni di indagini e udienze, 4.713 indagati e, nel 2009, la sentenza: sei imputati condannati a una sanzione fra i 300 e gli 800 euro e un patteggiamento. Tutti gli altri — camici bianchi, dipendenti Glaxo, informatori farmaceutici, farmacisti, dirigenti — assolti o usciti dall’inchiesta (556) prima del processo. Ora però il Codacons pubblica sul proprio sito un lungo elenco di ospedalieri e medici di famiglia «finanziati» dalle case farmaceutiche. Tra questi, 125 tra specialisti, primari e medici di base di tutte le province venete, anche se la maggioranza lavora per le Aziende ospedaliere di Padova e Verona.
In nome della trasparenza
«Così i veneti possono verificare se il proprio dottore ha ricevuto finanziamenti dalle case farmaceutiche — spiega Carlo Rienzi, presidente del Codacons — potrebbero essere legittimi, ma devono essere dichiarati, così come le finalità collegate. È giusto che un paziente conosca i rapporti tra il medico curante e le ditte produttrici i medicinali da lui prescritti». In tale ottica l’associazione, assistita da un pool di legali, ha diffidato i sette Ordini dei medici del Veneto affinché impongano agli iscritti l’obbligo di esporre in ambulatorio cartelli che ne illustrino gli eventuali legami con le multinazionali dei farmaci. «In più chiederemo alla Guardia di Finanza di verificare se tali entrate vengano dichiarate al Fisco — aggiunge Rienzi —. E intanto abbiamo inviato l’elenco dei medici all’Anac, l’Autorità anticorruzione. Da dieci anni combattiamo i conflitti d’interesse in sanità e in questo caso la nostra preoccupazione è che vengano prescritti farmaci anche quando non ce n’è bisogno. Chiederemo all’Inps le ricette, per vedere se i medici coinvolti scelgano solo i prodotti dell’azienda con cui sono in contatto».
La replica: una caccia alle streghe
«Mi pare un’altra caccia alla streghe che rischia di rovinare il nostro rapporto con i malati — replica Francesco Noce, presidente regionale della Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo) — ricordiamoci che sono le case farmaceutiche a finanziare la ricerca. E quindi gli ospedalieri che hanno rapporti con le stesse sono coinvolti in studi clinici sull’efficacia di determinati prodotti, dietro autorizzazione dell’azienda sanitaria di appartenenza e del proprio primario. Oppure, sempre con i permessi citati, sono relatori a convegni organizzati dalle industrie del farmaco ma che consentono ai camici bianchi di accumulare i punti Ecm di aggiornamento: è obbligatorio raggiungerne 150 in tre anni. Tutte attività dichiarate al Fisco». «E regolate da norme stringenti — assicura Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine di Venezia e segretario regionale della Cimo (ospedalieri) —. Gli studi clinici finanziati dalle aziende farmaceutiche devono essere approvati anche dai Comitati etici degli ospedali interessati». Lo stesso vale per i medici di famiglia, come assicura il segretario di Fimmg Veneto, Domenico Crisarà: «A parte il fatto che ogni anno facciamo risparmiare alla Regione tra i 10 e i 12 milioni di spesa farmaceutica grazie all’appropriatezza prescrittiva e al ricorso ai generici, associando ad ogni cittadino un costo massimo di 108 euro contro i 200 rilevato in molte altre realtà italiane, il rapporto con le ditte produttrici è motivato dalla farmacovigilanza. Cioè dall’osservazione degli effetti collaterali dei medicinali e da studi finanziati dalle stesse e autorizzati dal ministero. Attenzione, sulle accuse infondate di connessioni tra medici e industria del farmaco si basa la campagna no vax».