Lo zio di Pamela accusa il parroco: “La chiesa pagò la casa a Oseghale”

È ancora avvolta nel mistero la morte di Pamela Mastropietro. Il 13 febbraio si aprirà in Corte d’Assise il processo contro Innocent Oseghale, il principale indiziato per l’omicidio della giovane.

Ma ancora oggi sono molti i punti oscuri della vicenda.

Li elenca Marco Valerio Verni, lo zio di Pamela e legale della famiglia Mastropietro, in un’intervista concessa ad Affaritaliani. A partire dal quel sostegno offerto ad Oseghale, all’epoca già condannato per droga, da una parrocchia di Villa Potenza, frazione di Macerata. Secondo la ricostruzione dell’avvocato il nigeriano, già escluso dal programma di protezione per i rifugiati dopo essere stato sorpreso a spacciare e in attesa di essere espulso dal nostro Paese, era stato indicato dal parroco come una persona bisognosa di aiuto. Per questo, per tre mesi di seguito sarebbero stati raccolti e devoluti ad Oseghale e alla sua compagna, Michela Pettinari, 450 euro, che servivano a pagare l’affittodell’appartamento dove vivevano.

Il 14 gennaio di un anno fa, per celebrare la giornata del migrante, Oseghale era pure salito sul pulpito per leggere la lettera pastorale scritta da papa Francesco e la comunità gli aveva donato una cesta con coperte e generi alimentari. Soltanto due settimane più tardi, in quello stesso appartamento pagato con i soldi dei fedeli, si sarebbe consumato uno dei più atroci delitti degli ultimi anni. “Ecco spiegato, forse, l’atteggiamento davvero tiepido del vescovo di Macerata e il silenzio della chiesa su questa vicenda orribile”, ha detto l’avvocato della giovane, ricordando come il vescovo della cittadina marchigiana non fosse neppure intervenuto per benedire la lapide posta nel punto in cui è stato ritrovato il corpo smembrato della diciottenne.

Lo zio di Pamela ha denunciato inoltre “forti pressioni” nelle indagini. “Avevo chiesto, recentemente, di accedere all’appartamento degli orrori con i miei consulenti: mi è stato negato”, ha attaccato il legale della giovane, intervistato da Affaritaliani. Non è chiaro, inoltre, ha proseguito Verni, come Pamela avesse potuto assumere “oppiacei nei due mesi precedenti alla sua morte”, nonostante fosse reclusa in comunità. I dubbi riguardano anche le tracce del DNA di uno sconosciuto rinvenuto su entrambi i trolley. Circostanza che lascia pensare che Oseghale non avrebbe fatto tutto da solo. Ma c’è anche un’altra ombra sulla vicenda. Quella che riguarda le sorti di un diario che Pamela stava scrivendo per raccontare la sua storia difficile. Un manoscritto che, denuncia lo zio della vittima, non è stato più trovato. E che, forse, nascondeva al suo interno elementi utili a scoprire la verità su quel tragico 30 gennaio.

il giornale.it

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