Ritiravano vestiti usati nei cassonetti gialli per i poveri e poi li rivendevano: 3 milioni di euro
I vestiti usati raccolti per i poveri rivenduti nei mercatini: sei arresti. “Rete criminale faceva leva sulla solidarietà”
Delle migliaia di tonnellate di indumenti di seconda mano raccolte tra il 2014 e il 2016 in mezzo nord Italia da una rete criminale che faceva capo alla Nuova Tessil Pezzame di Solaro, in provincia di Milano, e alla onlus savonese L’Africa nel cuore, nei villaggi africani non ne è arrivata nemmeno una.
Gli investigatori hanno stimato un utile netto di 2,3 milioni di euro. Vi è mai capitato di donare vestiti per i poveri? A quanta gente sarà capitato di pensare di fare una buona azione. Era quello che avranno pensato di fare anche tanti cittadini milanesi attraverso il messaggio della Onlus “Africa nel cuore”.
Purtroppo, questi cittadini non avrebbero mai potuto immaginare che i loro doni sarebbero finiti in una ditta della provincia di Monza e Brianza, di un Saronnese, per essere rilavorati e quindi rivenduti sulle bancarelle delle province di Napoli e Caserta o in Nordafrica. A scoprire la sordida truffa è stata una grossa indagine dei Carabinieri di Milano, coordinati dalla Procura,che hanno arrestato e denunciato numerose persone facenti parte di una organizzazione criminale ben strutturata e attiva nella raccolta di vestiti usati destinati ai poveri A finire nei guai una nota figura imprenditoriale saronnese.
Cinque persone sono finite in manette di cui due in carcere e tre ai domiciliari e altre sei persone sono finite indagate nell’inchiesta. Secondo le indagini del Noe di Milano, il nucleo dei Carabinieri che si è occupato dell’affare, gli appartenenti all’organizzazione attraverso il paravento di un’associazione no profit ligure, raccoglievano abiti dismessi in centinaia di comuni tra le province di Monza, Milano e Varese, teoricamente destinati ai bisognosi, che dopo erano rivenduti a titolari di società operanti nel settore del commercio di vestiti della Campania e della Tunisia.
Le condotte emerse nel corso delle complesse indagini svolte, che hanno riguardato l’illecita gestione di oltre 10.000 tonnellate di capi di abbigliamento hanno consentito agli indagati di realizzare un ingiusto profitto quantificabile in circa 3 milioni di euro.