La sinistra regalò 40mila permessi ai migranti. Ma solo 3.200 lavorano
Il permesso di soggiorno umanitario era diventato una sorta di “tana libera tutti”. Quei richiedenti asilo che non ottenevano la protezione internazionale o lo status di rifugiato, spesso si trovavano in tasca un permessino biennale giustificato dalle più svariate ipotesi.
Qualcosa come 40mila clandestini trasformati con una firma in regolari e poi abbandonati a loro stessi senza reali prospettive d’integrazione.
Questo è, o meglio era, il sistema tenuto in piedi per tre anni dai governi a guida Pd. Nell’era Renzi, Letta e Gentiloni le commissioni territoriali per il diritto d’asilo hanno licenziato migliaia di permessi di soggiorno per motivi umanitari. Nel 2014 il 28% dei richiedenti ottenevano questo tipo di documento. Nel 2015 il 22%. Nel 2016 il 21% e nel 2017 il 25%. Questa “ampia discrezionalità” era una peculiarità tutta italiana, visto che mentre Roma “regalava” tutele umanitarie il resto delle capitali Ue lo utilizzava solo in forma residuale.
Con l’arrivo di Salvini al Viminale le cose sono cambiate un po’. Le direttive inviate alle commissioni hanno imposto maggior rigidità nelle valutazioni e magicamente i permessi di soggiorno sono crollati prima al 13% (ottobre) e poi al 5% (novembre) del totale dei richiedenti asilo. Un’inezia, rispetto al passato. Poi il dl Sicurezza ha ristretto definitivamente la concessione del documento, limitandone le situazioni di applicazione: se in passato per riconoscere la protezione era sufficiente la generica (e indefinita) previsione dei “seri motivi di carattere umanitario”, oggi i diritti assicurati devono essere concreti e reali. E vengono elencati dettagliatamente nella norma.
La sinistra lamenta il rischio che i migranti cui verrà negata la tutela umanitaria diventino fantasmi irregolari che si aggirano per le città nostrane senza arte né parte. “Finiranno in mezzo a una strada”, dicono. “Aumenteranno i clandestini”, ripetono. Impossibile escluderlo, certo. Ma occorre fare due considerazioni. La prima: “fantasmi” lo erano anche ai tempo dei documenti regalati a tutti. Il ministero fa sapere infatti che su circa 40mila tutele umanitarie riconosciute dalle commissioni territoriali negli ultimi tre anni, solo 3.200 sono poi state convertite in permessi di lavoro. Tradotto: la maggior parte degli immigrati con quel tipo di documento sono rimasti nel Belpaese senza fare un bel niente. Regolari sì, ma comunque disoccupati, criminali o senzatetto. In alcuni casi sono diventati stupratori o assassini senza pietà, come insegnano le violenze di Rimini, a Pamela Mastropietro o a Desirée Mariottini. Anche l’aspirante terrorista dell’Isis di Bari aveva ottenuto un soggiorno facile.
Il nullaosta umanitario non ha prodotto dunque alcuna inclusione sociale o lavorativa automatica dello straniero. Anzi. Tutto il contrario. Dunque perché ridurne l’applicazione? Semplice (e qui siamo alla seconda considerazione): i “fantasmi” col permesso regolare non si possono espellere, se non hanno documenti in tasca invece sì. Semplice. Stringere le maglie permetterà di assicurare diritti “concreti e reali” ai migranti che ne hanno davvero diritto e cacciare tutti gli altri.
Resteranno ancora nel Belpaese “le vittime di tratta, le vittime di violenza domestica o di grave sfruttamento lavorativo, chi versa in condizioni di salute di eccezionale gravità, chi non può rientrare nel proprio Paese perché colpito da gravi calamità, chi compie atti di particolare valore civile, nonché coloro i quali, pur non avendo i requisiti per il riconoscimento di una forma di protezione internazionale, corrono comunque il rischio, in caso di rimpatrio, di subire gravi persecuzioni o di essere sottoposti a torture”. Saranno esclusi, per esempio, quei migranti che lamentavano di essere in fuga dalla “setta” degli Ogboni che per la Cassazione nient’altro è che una normale “confraternita”.
E sarà finalmente la fine di una peculiarità tutta italiana.
il giornale.it