Salvini ora vuole comandare: sono al 30%, arriverò a 100…
Il consenso della Lega diventa sempre più solido e distribuito sul territorio. E Matteo Salvini, alla vigilia del viaggio ufficiale in Israele, parlando nella sede della Stampa Estera non si nasconde e si concede una battuta sul suo momento magico.
«I dati dicono che non siamo mai stati così forti. Certo tra il 30% e il 100%, mi manca ancora il 70% di italiani da convincere…».
Il tono è leggero, senza scivolare nella tracotanza e senza peccare di hybris, ma è chiaro che la consapevolezza di essere il più amato dagli italiani – il sondaggio Swg del Tg La7 dà la Lega stabile al 32%, mentre M5s perde oltre un punto e si attesta al 26,2 – in questo momento è ben presente nella mente del leader della Lega. Salvini sa però che deve fare i conti con la tenuta in prospettiva del suo consenso. E in questo senso il vero nodo, il pericolo reale che si profila all’orizzonte è l’offensiva anti-infrastrutture portata avanti dai Cinquestelle, un tema su cui tanto il Nord Ovest quanto il Nord Est hanno una sensibilità scopertissima.
Come uscire da questo vicolo cieco senza rompere con l’alleato? La risposta è semplice: rimettendo la decisione direttamente agli italiani. «Se dall’analisi costi benefici sulla Tav non dovessero arrivare risposte chiara una strada potrebbe essere quella del referendum» dice il ministro dell’Interno. «Aspettiamo il rapporto, ma se non si arrivasse a una decisione, chiedere ai cittadini cosa ne pensano penso che possa essere una strada». Ma quindi un referendum?, gli viene chiesto. «Perché no?» risponde Salvini. «L’unica cosa che non può succedere è che si vada avanti ancora per settimane o per mesi a discutere». Quindi sulla Tav serve «una risposta nelle prossime settimane: i cantieri o si aprono o non si aprono». L’importante secondo il titolare del Viminale è «avere dei sì o dei no»: «Io tifo sì» ribadisce. «Se i tecnici ci dicessero no o forse, si possono ascoltare i cittadini» conclude.
L’ipotesi referendum lascia decisamente freddo il Movimento Cinquestelle. Sulla Tav «si parla di un referendum. Non è un ministro che può decidere di fare un referendum ma i cittadini delle comunità a richiederlo» dice Luigi Di Maio, ospite di Quarta Repubblica su Rete 4. «Se lo chiedono chi siamo noi per opporci», prosegue precisando che «in questo momento stiamo facendo una ricognizione dei soldi spesi e di quelli che si devono spendere». Alzano la voce i consiglieri comunali grillini di Torino. «Ci stupiscono le proposte dei leghisti su un possibile referendum» dice la capogruppo Valentina Sganga: «Evidentemente Salvini, che non si capisce neanche più che ruolo abbia, se di ministro dell’Interno o dei Trasporti, ha già appurato che i risultati dell’analisi costi-benefici danno ragione alle migliaia di persone scese in piazza sabato e cerca un escamotage, come la proposta di un referendum con 20 anni di ritardo».
Proprio da Torino, però, arriva un segnale importante, destinato a rendere ancora più controversa la questione Tav. La Conferenza dei sindaci dell’ex Provincia approva una mozione Sì Tav presentata dal centrodestra e dal Pd che hanno la maggioranza in Consiglio. Così, dopo che i grillini al Comune hanno votato un documento che di fatto ha trasformato Torino in Comune No Tav, un’altra maggioranza fa virare l’area metropolitana di cui Torino è capoluogo verso il sì. La mozione approvata impegna la sindaca «a riconoscere i benefici dell’opera» e «a svolgere ogni azione finalizzata a sostenerne la realizzazione». Un affondo che sicuramente mette Chiara Appendino al centro esatto di due fuochi contrapposti.