Dalla Cassazione via libera al fucile dei cecchini serbi
Per chi vive nell’ansia di vivere in un paese troppo armato sarà una notizia allarmante.
Per il vasto mondo degli appassionati del grilletto, praticanti o collezionisti che siano, una svolta da festeggiare. La Cassazione, con una sentenza depositata nei giorni scorsi, ha dato via libera all’acquisto e alla detenzione in Italia di uno dei fucili-simbolo della ex Jugoslavia, ampiamente usato – con alcune varianti – dai cecchini serbi durante l’assedio di Sarajevo. È lo Zastava M76 (nella foto), prodotto nella fabbrica omonima a Kragujevac fino al giorno del 1999 in cui – in piena guerra del Kosovo – un missile americano centrò lo stabilimento. Fine della fabbrica, fine della produzione, e ingresso degli M76 in circolazione nell’Olimpo delle armi più ricercate dagli appassionati di tutto il mondo.
Importante, nel convincere la Cassazione a legalizzare il possesso del gioiellino, il provvedimento con cui in settembre il governo Conte, recependo la direttiva europea sulle armi, ha alzato da cinque a dieci colpi il numero massimo di colpi consentiti nel caricatore di un fucile. Sopra, si entra nella categoria delle armi da guerra, e il possesso resta assolutamente proibito; al di sotto, si rimane tra le armi comuni da sparo. Condizione, che i fucili siano stati modificati per eliminare la possibilità di sparare a raffica: da fucile automatico a semiautomatico.
Ma già prima della direttiva europea, a portare avanti con successo le ragioni dei possessori dell’M76 erano stati i ricorsi che l’avvocato Antonio Bana, legale di dieci di loro, aveva intrapresa contro la Procura di Brescia, e la sua megainchiesta che aveva portato al sequestro di una montagna di fucili Zastava: 1239, roba da armare un reggimento. Secondo i pm bresciani, erano tutte armi da guerra, ancora in grado di sparare a raffica. Un migliaio di italiani che si erano comprati nel corso degli anni un M76 si videro arrivare i carabinieri a casa.
Dieci di loro non si sono rassegnati, e mentre l’inchiesta bresciana contro gli importatori degli Zastava andava avanti (e dovrebbe ormai essere prossima alla conclusione) hanno impugnato a ripetizione i provvedimenti di sequestro. Tesi: i fucili erano già stati vagliati e approvati dal Banco di prova di Gardone, massima autorità in materia; e soprattutto il caricatore non può essere considerato parte integrante dell’arma, a cinque o a dieci colpi che sia. Quindi, anche prima della direttiva (e delle polemiche contro il ministro Salvini accusato di eccessiva simpatia per la lobby degli armieri) gli Zastava non erano più armi da guerra.
Ma uno cosa se ne fa di un M76? Qualcuno se lo tiene in casa, come oggetto da collezione. Qualcuno va nelle cave o nei poligoni, e gioca a fare lo sniper.
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