Manovra, così la Lega fa saltare il reddito di cittadinanza
Niente soldi ai fannulloni? Luigi Di Maio, per ora, non vuole sentirne parlare. Anzi, continua a ripetere di aver già preparato le carte di credito per erogare il sussidio ai bisognosi. Ma l’ idea di rivoltare come un calzino il reddito di cittadinanza sta iniziando concretamente a farsi strada, anche negli ambienti pentastellati. D’ altra parte, al di là di quota 100, che Matteo Salvini sembra disposto a declinare in forme non dirompenti per la sostenibilità del sistema previdenziale, la misura fortemente voluta dal leader grillino e dal suo esercito di elettori nel Mezzogiorno, con i suoi 9 miliardi di risorse pubbliche drenate senza alcuna garanzia di ritorno economico, è il vero anello debole della manovra di bilancio sotto processo a Bruxelles.
Solo qualche giorno fa Giuseppe Conte ha parlato di possibili «rimodulazioni» e ieri il premier ha ribadito che il governo sta ancora studiando «tutti i dettagli». Stesso discorso per Matteo Salvini, secondo cui «forme e modi» sono tutti da definire.
Tra le ipotesi allo studio, quella che sta raccogliendo maggiori consensi è la proposta semplice, ma rivoluzionaria di Armando Siri. Invece di regalare quattrini ai disoccupati meno abbienti nella speranza, assai remota, che qualche azienda si faccia avanti, si chiede il sottosegretario alle Infrastrutture nonché mente economica del Carroccio, «perché non affidiamo direttamente alle aziende il compito di erogare il sussidio attraverso un percorso formativo retribuito?».
Cambio di prospettiva – L’ obiettivo resta identico: aiutare chi è in difficoltà economica a rientrare nel mondo del lavoro. Ma il cambio di prospettiva è copernicano: i soldi passano dai fannulloni alle imprese.
Con una serie di macroscopici vantaggi. Intanto, si cancellano in un colpo solo dalla platea dei potenziali beneficiari tutti i furbetti che lavorano in nero o che pensano di prendere i soldi a sbafo, magari andando qualche ora alla settimana a scaldare una sedia nei lavori socialmente utili immaginati da Di Maio. Se l’ erogazione del contributo è legata ad un vero e proprio apprendistato, gli scansafatiche gireranno alla larga, così come coloro che hanno già un’ altra occupazione.
Le imprese, poi, avrebbero tutto l’ interesse ad effettuare controlli più stringenti di quelli che lo Stato riuscirebbe a mettere in campo, se si considera che oggi 6 sussidi di disoccupazione su 10 vengono intascati senza diritto e 6 Isee su 10 sono taroccati.
In secondo luogo, l’ intervento agirebbe sul lato giusto del problema, quello dell’ offerta di lavoro. Il grosso nodo del reddito di cittadinanza riguarda proprio la scarsa disponibilità di posti, soprattutto al Sud. Sganciare 780 euro a un disoccupato che sta sul divano a girarsi i pollici non significa stimolare il mercato, che resterebbe asfittico. E pensare che una mano di bianco ai polverosi centri per l’ impiego, che oggi intermediano circa il 2 per cento delle assunzioni, possa fare la differenza è come credere in Babbo Natale.
Incentivando la formazione, spiega invece il sottosegretario leghista, «si avrebbe un effetto concreto sulla creazione di lavoro. Non solo perché i disoccupati avrebbero la possibilità di acquisire competenze specifiche e professionalità che aumenterebbero in generale le probabilità di trovare un impiego, ma anche perché le aziende saranno spinte a tenersi in casa le persone che hanno formato».
E non è tutto. Il cambio paradigmatico dell’ intervento pubblico permetterebbe di classificare le risorse non più come spesa assistenziale, ma come investimenti per la crescita. Uno spostamento che potrebbe consentire al ministro dell’ Economia, Giovanni Tria, di rifare i conti della manovra in modo da renderla meno indigesta agli europapaveri di Bruxelles.
Messa così, l’ operazione sembra l’ uovo di Colombo. Più efficienza, meno sprechi, conti in ordine. Resta il problema politico. Non trascurabile. La trasformazione del reddito di cittadinanza in risorse per la formazione dei meno abbienti in cerca di lavoro è una mossa che consentirebbe sicuramente alla Lega di riallacciare il filo del dialogo con il Nord produttivo, sempre più insofferente verso la deriva assistenzialista e neo statalista imposta dalla componente grillina del governo. Le imprese, «anche quelle del Sud», tiene a precisare l’ esponente del Carroccio, hanno già accolto con entusiasmo la proposta, dicendosi disponibili a fare la loro parte. Per gli stessi motivi, però, la misura rivisitata dal lodo Siri potrebbe risultare poco potabile al popolo pentastellato.
Mina da disinnescare – D’ altra parte, l’ idea che il reddito di cittadinanza possa rivelarsi un clamoroso boomerang alla vigilia delle Europee è un’ ipotesi per M5S ancora più temibile. Così come quella di finire travolti da una bufera finanziaria se non si riuscirà a disinnescare la mina della procedura d’ infrazione. Molti, dice il sottosegretario, ci stanno pensando seriamente. Come ha confermato qualche giorno fa il capogruppo grillino al Senato, Stefano Patuanelli, che ha definito quella di Siri «una proposta intelligente», ammettendo che l’ ipotesi è sul tavolo.
Persino lo stesso Di Maio, al di là delle uscite pubbliche, non sarebbe del tutto contrario. Purché si trovi il modo di non presentarla come una marcia indietro rispetto agli impegni elettorali. Molto, ovviamente, dipenderà da come procede la trattativa con Bruxelles. Vuoi vedere che alla fine ci toccherà pure ringraziare la Ue?