Il governo chiede pietà all’Ue e Conte va a cena con Juncker
Jean-Claude stai sereno, la butta là Giuseppe Conte, perché «io non sono preoccupato». Domani il vertice europeo, stasera la cena con il presidente della Commissione, al tredicesimo piano di palazzo Berlaymont.
«Incontrerò Juncker e mi confronterò con lui. Spiegheremo le nostre ragioni e ci confronteremo serenamente in modo molto costruttivo – dice il premier – Ho varie argomentazioni, le esporrò a tavola». Anche Luigi Di Maio adesso vuole negoziare: «Basta con lo scambio quotidiano di battute, non si tratta di fare la guerra alla Ue, dobbiamo sederci e discutere». Ma il senso della svolta, della retromarcia, lo danno le parole per la prima volta concilianti di Matteo Salvini: «Noi non vogliamo litigare con nessuno. Il presidente del Consiglio ha mandato di andare a dialogare, rasserenare e spiegare le riforme». Il ministro dell’Interno chiede pure di ritardare le stangata. «L’Europa ci dia dodici mesi di attenzione e vedrà che un anno l’Italia starà meglio. Stop a sanzioni preventive».
Scusate, stavamo scherzando. A due passi dal disastro finanziario, il governo sembra aver capito i rischi della situazione e domanda pietà a Bruxelles. Differenziale con i Bund tedeschi in salita, risparmi bruciati, agenzie di rating propense a declassarci, mercati pronti alla mattanza. E l’imminente procedura europea sul debito prevede una maxi-multa che appesantirebbe i conti. Già da qualche giorno Giovanni Tria si dice «preoccupato» per lo spread che, secondo Bankitalia, «rischia di vanificare gli effetti della manovra». Però forse a dettare il cambio di strategia è stato il flop dell’asta dei Btp: gli italiani non vogliono dare l’oro alla Patria.
Sotto dunque con il piano alternativo: trattare. Abbassare i toni e mostrarsi collaborativi, puntando almeno alla riduzione del danno. Del resto lo stesso Pierre Moscovici, il commissario Ue agli Affari economici, bersaglio preferito della polemica giallo-verde, sostiene che «un accordo è ancora possibile». Ma quello italiano è un vero dietrofront? O si tratta soltanto di una mossa tattica, buona per guadagnare tempo?
Salvini vuole comunque mantenere il punto. «Un conto è essere cauti, educati, ragionevoli, un conto è retrocedere. Passi indietro non se ne fanno. Bruxelles non mi convincerà mai che la legge Fornero non si tocca, noi con quota 100 daremo la pensione a seicentomila persone». Quanto a Juncker, «rispetti l’Italia: chi sta leggendo seriamente la manovra si sta rendendo conto che la nostra economia è sana e che noi vogliamo semplicemente restituire soldi a imprenditori e cittadini». Gli spiragli che si sono aperti sulla Finanziaria e l’offensiva diplomatica con l’Europa stanno dando comunque un po’ di ossigeno alla Borsa. Il problema è capire quali siano i margini del negoziato, come passare dalla parole ai fatti, che cosa il governo è realmente disposto a cancellare o rimandare. Al momento nulla, come sostiene Di Maio: «Non elimineremo i punti cardine della manovra, non possono chiederci di tradire gli elettori». Però, assicura, qualcosa di farà, «i prossimi giorni permetteranno ai mercati di essere rassicurati». Come? Il vicepremier ipotizza vaghi «tagli di sprechi» e «dismissioni di asset non strategici». Salvo poi auto-smentirsi, «non venderemo i gioielli di famiglia». Dice ancora Conte: «Alla Commissione dirò che vogliamo garantire l’obiettivo della stabilità finanziaria e promuovere la crescita». Basterà?
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