I Family Day cantano vittoria Propaganda gender bocciata
Della famigerata parola «gender», nella circolare del ministro Marco Bussetti, non c’è traccia.
Il ministro dell’Istruzione, in compenso, fa sfoggio di un burocratese difficilmente traducibile per un cittadino normale. Eppure, pochi minuti dopo l’«emissione» della «suddetta circolare», c’è chi esulta convinto di aver capito il succo della questione.
Il presidente dell’associazione «Pro Vita» e il suo collega di «Generazione Famiglia» esultano: «Stop alla propaganda gender nelle scuole. Il Miur dà ragione al Family Day. Grazie ministro!».
Ma le cose stanno davvero così? Noi la circolare del Miur (il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca ndr) l’abbiamo letta e riletta. Invano. Non resta quindi che fidarsi della versione, grondante entusiasmo, fornita dai difensori della tradizione.
Ma prima, una mozione d’ordine: cosa si intende per gender? E, soprattutto, cosa rappresenta questo termine in ambito scolastico? Anche qui districarsi tra le varie teorie non è facile. Ciò dipende dal fatto che l’approccio al tema risulta viziato dall’ideologia di cui sono portatori i due fronti contrapposti: insomma, una guerra politica ingaggiata sulla pelle dei bambini, con in più l’ipocrisia di sostenere che invece la si sta combattendo nell’interesse dei minori.
Più obiettivo il punto di vista scientifico: «Nato da correnti culturali femministe americane per favorire la lotta alla discriminazione tra uomini e donne – sostiene Girolamo Calsabianca, segretario nazionale Anio -, la cosiddetta educazione gender si è oggi evoluta comprendendo tutte le categorie discriminate come quelle omossessuali e transessuali. Tuttavia, tale educazione presenta forti limiti, poiché è divenuto uno strumento ideologico di gruppi di pressioni, travisando ampiamente la lotta alla discriminazione. Quella del negare l’evidenza biologica tra uomo e donna rientra tra queste, provocando nel tempo disturbi della personalità nei bambini cui tali metodologie sono dirette. In realtà, chi promuove tali battaglie, non lo fa, per la difesa di chi è oppresso, ma per proprie motivazioni ideologiche». Premesso ciò passiamo alla «soddisfazione» espressa dall’associazionismo Family Day che ieri ha tirato in ballo perfino il Mahatma: «Diceva Ghandi: Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci. Con la circolare del ministero dell’Istruzione in cui viene riconosciuto il diritto di priorità educativa dei genitori è stato premiato lo sforzo e l’impegno con i quali l’associazionismo del Family Day, superando offese e insulti ha portato avanti la battaglia per il diritto dei genitori al consenso informato nelle scuole».
«Combattere per l’ovvio è una battaglia che può sembrare paradossale ai giorni d’oggi – spiega Toni Brandi, presidente di «Pro Vita» -, ma questa storia dimostra come genitori, semplici cittadini disposti a scendere in campo e a lottare contro il potere politico ingiusto possano cambiare il futuro»; la felicità di Brandi è incontenibile: «Le famiglie non devono e non possono cedere nemmeno di un millimetro rispetto al gender e ai suoi errori della mente come li ha definiti Papa Francesco». E da Ghandi a Bergoglio il passo è breve.
Per Jacopo Coghe, presidente di Generazione Famiglia «si va avanti, non faremo un passo indietro, pretenderemo l’attuazione di questa circolare, continueremo a presidiare le scuole dei nostri figli contro la colonizzazione ideologica di progetti ispirati alla dittatura gender». «Dittatura», addirittura.
Anche Coghe ha ringraziato il ministro Bussetti «che finalmente riconosce chiaramente il diritto di priorità educativa dei genitori, il diritto di conoscere e in caso esonerare i propri figli da attività sensibili che non si accordano con la propria morale».
«Propri figli» e «propria morale»: troppi aggettivi possessivi in una sola frase.
il giornale.it