Se Davigo è il testimonial meglio staccare la spina
Contrastato da par suo da Bruno Vespa, il magistrato Piercamillo Davigo, ospite l’altra sera di Floris a Di Martedì, ha lasciato intendere cosa sarebbe della libertà in Italia se si lasciasse mano libera sulla giustizia ai Cinquestelle, partito che si ispira alle teorie del suddetto inquisitore
«Lei dorme con le manette sul comodino», gli ha detto a un certo punto rassegnato il conduttore di Porta a Porta. Niente, Davigo ha continuato imperterrito a ipotizzare un Paese di polizia giudiziaria perché «abbiamo una classe dirigente marcia e corrotta». All’obiezione di Vespa che «non tutta la classe dirigente è così», Davigo ha replicato che «quella non corrotta è complice dei corrotti perché non li denuncia né li isola».
Mi chiedo perché se io sostengo pubblicamente che «i magistrati sono corrotti» mi processano e condannano per vilipendio (è successo di recente a Salvini), mentre se un magistrato dice che «la classe dirigente è corrotta» nulla gli accade. I magistrati fanno parte a pieno titolo della «classe dirigente» e hanno al loro interno non essendo extraterrestri lo stesso tasso di corrotti, incapaci e fessi di qualsiasi altra categoria. E non mi risulta che il puro Davigo abbia mai additato all’opinione pubblica, e neppure agli organi competenti, colleghi sospetti per moralità o capacità. Non mi risulta neppure che Davigo, ai tempi di Mani Pulite, avesse preso le distanze dal collega Antonio Di Pietro quando scoprì che questi aveva preso soldi da un imprenditore nascosti in una scatola di scarpe. Mi risulta invece che Davigo faccia parte di una categoria che ha fatto fare carriera fino ai massimi livelli ai pm e al giudice che condannarono Enzo Tortora in quanto «cinico mercante di morte», la sentenza più infame della recente storia giudiziaria.
Basterebbe questo per concludere che al Paese, e alla sua immagine, fanno più danni i magistrati degli imprenditori. Ma c’è di più. Davigo ha sostenuto l’altra sera anche che «Berlusconi ebbe l’impudenza di convocare un vertice mondiale sulla corruzione ben sapendo di essere indagato per corruzione» (il riferimento è al G7 di Napoli nel 1994, ndr). Io non so se Berlusconi sapesse o no del famigerato avviso di garanzia, ma so che da quell’accusa (che portò alla caduta del suo primo governo) fu poi completamente prosciolto. Quell’inchiesta fu quindi un attentato agli organi dello Stato e alla democrazia. Inchiesta firmata, guarda caso, anche da Piercamillo Davigo. Che oggi, senza aver mai pagato dazio, ha lui sì l’impudenza di pontificare sulla moralità altrui e di dividere il Paese tra bravi (pochi oltre lui) e cattivi (quasi tutti). E qui sta la vera empatia con Di Maio e soci.