L’Europa dichiara guerra al vino italiano: ok ai falsi made in Italy
L’Europa attacca ancora una volta l’Italia. E questa volta, a farne le spese, è il vino.
Dopo lo spumante, la Commissione europea ha dato il via libera alla cancellazione dell’obbligo di indicare l’origine delle uve per le bottiglie di Chardonnay, Merlot, Cabernet, Sauvignon e Shiraz.
Per il settore vinicolo, un colpo mortale. Nel 2018, l’export italiano ha segnato un nuovo record, con un aumento del 4% soltanto nei primi sette mesi dell’anno. La Coldiretti è già sul piede di guerra. Secondo l’associazione, l’Italia deve opporsi con tutte le forze alla modifica del regolamento 607/09 sull’etichettatura dei vini. Il pericolo è gravissimo: rendendo obbligatorio solo il luogo della spumantizzazione ma non quello di origine delle uve, di fatto qualsiasi Paese può dire di produrre vino “italiano” con vini o mosti proveniente di altri Paesi. Ed è per questo che Stati europei o con cui l’Unione europea ha accordi commerciali nel settore agricolo, già festeggiano.
“Lo fa per agevolare il consumatore? Ma neanche per sogno“, spiega La Verità. La scelta dell’Unione europea è come al solito quella di penalizzare un Paese, l’Italia, che ha un export maggiore e di qualità, rispetto ad altri Paesi comunitari che hanno vini e mosti generici in quantità industriale ma senza riuscire a utilizzarli per venderli e guadagnare. E adesso, per Gian Marco Centinaio, ministro delle Politiche Agricole, è tempo di passare all’attacco. Per lui come per tutto il governo, specialmente in un periodo di negoziati sul bilancio e sulla manovra economica.
Il vino italiano è sotto attacco. Come denunciato dalla Coldiretti, questo nuovo regolamento Ue conferma la tendenza a penalizzare l’agricoltura del nostro Paese. Un trend chiarito anche dalla decisione in sede europea di ammettere lo zuccheraggio dei mosti nei Paesi del Nord, la produzione di vino da frutta nei Paesi dell’Europa dell’Est, e che si è palesata anche nella scelta di con contrastare in modo netto la produzione di vino in polvere che punisce l’eccellenza italiana utilizzando finti marchi Made in Italy.
Inoltre, spiega sempre la Coldiretti, la nuova stagione di accordi fra Unione europea e altri grandi potenze commerciali (Canada, Giappone e Cina in primis) rischia di minare nel profondo le potenzialità economiche del vino italiano. “Se il trattato di libero scambio con il Canada (Ceta) non protegge dalle imitazioni dall’Amarone all’Ortrugo dei Colli Piacentini insieme a molti altri vini, quello siglato con il Giappone esclude dalla tutela ben il 95% delle 523 denominazioni di vini riconosciute da Nord a Sud del Paese e la situazione è ancora più preoccupante nella trattativa in corso con i Paesi del Mercosur dotati di un forte potenziale vitivinicolo che già producono copie dei vini italiani, dal Prosecco brasiliano al Bordolino argentino“.
Se si calcola che il settore vinicolo è il maggiore comparto dell’agricoltura italiana, con 15 miliardi di fatturato e 1,2 milioni di posti di lavoro, la notizia della modifica del regolamento Ue non va sottovalutata. Secondo La Verità, se è vero che “circa il 70% delle uve raccolte in Italia serve a produrre vini certificati“, è anche vero che “il 30% della produzione di uve è destinata a vini comuni che con il nuovo regolamento europeo sarebbero spazzati via. Senza contare che anche l’Igt, a seconda di come sarà licenziato questo regolamento, potrebbe essere attaccato dal virus del falso“. Basta per lanciare l’allarme. E ora il governo deve battere un colpo.