La Lega stufa dei 5 Stelle. E c’è chi invoca il piano B
«Dobbiamo tirare avanti qualche altro mese». È più o meno da una settimana che Matteo Salvini risponde così a sottosegretari di Stato e presidenti di Commissione che lo chiamano preoccupati chiedendo conto di questo o quel dossier o provvedimento.
D’altra parte, sono ormai una quindicina di giorni che i rapporti tra M5s e Lega si sono andati decisamente deteriorando, al punto che non c’è occasione in cui nei ministeri e pure nella presentazione degli emendamenti ai diversi provvedimenti in discussione a Camera e Senato grillini e leghisti non vadano in due direzioni diverse. A cinque mesi dalla nascita del governo, insomma, i nodi stanno inevitabilmente venendo al pettine ed emergono le distanze. Un dettaglio significativo lo fa notare un deputato accorto come Igor Iezzi, firmatario in commissione Affari costituzionali di diversi emendamenti indigesti al M5s. Se nei primi mesi di governo – spiega – era la regola vedere in tv esponenti della Lega che difendevano i grillini e viceversa, «ormai non capita praticamente più».
Al di là dei temi evidentemente divisivi – sicurezza e prescrizione sono quelli che oggi occupano le prime pagine dei giornali – esistono infatti decine di questioni meno evidenti su cui M5s e Lega si stanno azzuffano. Da diversi dossier esteri, alle nomine (ieri c’è stata la rimozione del presidente dell’Asi Roberto Battiston), fino alla parte del ddl anticorruzione che disciplina l’organizzazione dei partiti politici. In particolare il passaggio nel quale si chiede di rendicontare in libri contabili ad hoc la prestazione gratuita dei militanti, una norma che secondo la Lega è stata scritta proprio per danneggiare il Carroccio (che storicamente gode di un grosso sostegno da parte della militanza spontanea).
Il clima che si respira in Transatlantico, insomma, è quello di un’imminente resa dei conti. Al punto che più di un parlamentare della Lega auspica che si arrivi presto allo show down. Così – spiega un esponente di governo di lungo corso – non si può più andare avanti. L’auspicio, insomma, è che salti il banco. Anche perché con il Pd alle prese con lo scontro interno per la segreteria, nel caso si arrivasse ad una crisi di governo sarebbe difficilmente percorribile l’ipotesi di una maggioranza M5s-Pd. Da un punto di vista dei numeri in Parlamento sarebbe lo scenario più probabile, ma evidente che lo scontro all’arma bianca in corso tra renziani e antirenziani di fatto congelerà i dem fino a che non si chiuderà corsa per la segreteria. Così, prima di sciogliere le Camere, il Quirinale non potrebbe non sondare la possibilità di un esecutivo con Lega e centrodestra (Forza Italia e Fratelli d’Italia). Salvini potrebbe avere interesse a smarcarsi dal M5s, con cui le incomprensioni politiche e programmatiche si vanno moltiplicando, mentre gli azzurri e il partito di Giorgia Meloni potrebbero rientrare in gioco dopo sei mesi all’opposizione. Certo, mancherebbero 55 deputati alla soglia fatidica dei 316 (Lega, Fi e Fdi ne contano 261). Ma, per dirla con il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, «vuoi che tra i grillini e il gruppo misto non si trovino 55 Scilipoti che si sacrificano per il bene della legislatura?». Una domanda ovviamente retorica.