C’è aria di “patrimonialina”: aumenti delle imposte locali
Un delitto perfetto: aumentare le tasse senza varare una legge, scaricando la responsabilità su altri.
In alcuni casi non riesce. Gli aumenti dell’Iva che i vari governi stanno rimandando di anno in anno sono sotto costantemente sotto i riflettori dei media e lasciano poca scelta alla politica. Non si può dire la stessa cosa degli incrementi di imposte e addizionali locali, anche quelli bloccati da micro norme che da un paio di anni sono state confermate. Ma che nella prossima legge di Bilancio – che resta ancora un mistero – non entreranno.
A dirlo esplicitamente è stata giorni fa il vice ministro dell’Economia Laura Castelli durante l’assemblea dell’Anci. L’associazione dei comuni fa da tempo il tifo affinché si dia completa libertà ai sindaci. Castelli ha fatto capire che le misure introdotte per la prima volta nella legge di Bilanacio del 2016, valide fino alla fine del 2018, non saranno confermata. Ai comuni viene quindi data la possibilità di deliberare aumenti sulle aliquote Imu e Tasi e anche le addizionali Irpef.
Ieri il quotidiano economico il Sole24ore ha fatto il calcolo di quanti comuni potrebbero essere coinvolti: 6.780, cinque su sei. Tante sono le amministrazioni che non avevano ancora applicato l’aliquota Imu sulle seconde case al 10,6 per mille, l’aliquta massima.
Capitolo a parte quello delle addizionali regionali. Gli aumenti potenziali (tutto dipenderà dalla scelta dei presidenti delle Regioni) sono elevati. Si va dal 30% della Sicilia al 708% della provincia autonoma di Bolzano, passando per il 131% della Lombardia e al 47% del Lazio.
Gli aumenti potenziali delle addizionali comunali alle imposte sul reddito, aggregati per regione, danno risultati simili. Con qualche eccezione come il Lazio dove non sono possibili aumenti visto che le addizionali comunali sono già al massimo. Per la Lombardia gli aumenti dei comuni si fermano al 30%.
Ad essere penalizzati sono i residenti nei comuni più virtuosi. Quelli che non avevano aumentato le tasse locali in passato e si sono ritrovati loro malgrado bloccati dal congelamento, prorogato per l’ultima volta dal governo Renzi.
Una discriminazione ingiusta, ma anche la soluzione (aumenti liberi per tutti) rischia di diventare un problema per il governo.
Non rischiano niente, ad esempio, i cittadini di Roma che pagano già il massimo. Lo 0,8 per cento, che arriva a 0,9% per ripianare il debito accumulato dall’amministrazione capitolina.
Gl aumenti potrebbero arrivare senza che il governo abbia dichiarato l’intenzione di spostare il peso della pressione fiscale sui tributi locali.
«Sarebbe veramente grave», ha commentato il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, «se fosse consentito a comuni e province, che esistono ancora, di aumentare di nuovo la tassazione locale che, come noto, è in gran parte fondata sugli immobili. Un settore che avrebbe bisogno di riduzioni della pressione fiscale, non di aumenti».
Il riferimento di Spaziani è ai dati sulle compravendite di immobili che sono in aumento ovunque nell’Unione europea, ma non in Italia, grazie alla patrimoniale ricorrente introdotta dal governo guidato da Mario Monti. Le voci di patrimoniale sono sempre più insistenti. Dibattito «surreale» per Spaziani Testa perché ignora «una patrimoniale da 21 miliardi di euro l’anno sugli unici beni che non possono sfuggire, che restano gli immobili».
La decisione di lasciare scattar le tasse locali deresponsabilizza il governo, lasciando l’onere degli aumenti ad amministratori locali. Ma non è diversa da un aumento delle tasse che cade nel momento peggiore per il Paese.
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