Oggi Moscovici bastona l’Italia. Ma lui sforava il 3% del deficit
Una vecchia legge della politica non risparmia neppure i piani alti dell’Europa: quando un eletto entra nel Palazzo, pare assumerne le caratteristiche, come se l’aria infestata del potere in qualche modo modificasse il modo di pensare
Fino a trasformare il più rivoluzionario dei combattenti in un perfetto burocrate.
Ricordate il Matteo Renzi “ganzo”, la camicia bianca sbottonata e le brillanti comparsate in tv? Dimenticatelo: il passaggio a Palazzo Chigi l’ha reso meno rottamatore e più rottamato. Una trasformazione. Lo stesso si può dire di Pierre Moscovici, oggi rigido bastonatore dell’Italia per le “deviazioni significative”, ma che in passato criticava i tecnocrati ortodossi di quella Commissione di cui ora è autorevole esponente.
Anno Domini 2012. Moscovici, il socialista francese di 61 anni che vede il Belpaese infestato di “piccoli Mussolini”, viene nominato ministro delle Finanze della Repubblica guidata da Francois Hollande. Mica roba da poco. Peccato che a quel tempo Parigi aveva lo stesso vizietto che oggi il Moscovici-euroburocrate contesta al governo italiano: per ben 10 anni la Francia ha sforato il 3% del rapporto tra deficit/pil in violazione palese delle regole Ue, eppure nessuno si è stracciato le vesti come succede oggi per il 2,4% ipotizzato dall’esecutivo nel Def. Condizioni economiche diverse? Forse. Ma predicare bene e razzolare male non è mai buona cosa. Soprattutto in politica.
In realtà non c’è da stupirsi se con Moscovici alla guida delle Finanze, l’Eliseo si sia sbilanciato sul bilancio. In fondo l’ex ministro sosteneva le stesse tesi di Di Maio: “Vogliamo ridurre il deficit, ma a un ritmo compatibile con la crescita e l’occupazione”, ripeteva. Socialista e da sempre contrario all’austerità cara alla Germania, è diventato Commissario al Bilancio Ue nonostante la pubblica avversione di Angela Merkel. Il suo motto si narrava fosse “meno austerità e più investimenti” anche se lui la considera una “contrapposizione artificiosa”: “Non c’è crescita senza lotta all’indebitamento – disse a Repubblica nel 2014 – ma non c’è diminuzione del debito senza crescita”. Per digerire la nomina di un politico favorevole alla “flessibilità”, la Cancelliera impose due nomine di peso a lei gradite. Do ut des. Nessuno però aveva fatto i conti con la trasformazione in corso d’opera del politico di origini rumene, che quando si trovò alla soglia della Commissione subito sostenne di non voler “rinunciare al rigore di bilancio”.
E pensare che solo un anno prima, quando Bruxelles bacchettava la Francia per il deficit oltre il 3% e una spesa pubblica eccessiva, in alcuni virgolettati riportati dal NYT, l’allora ministro delle Finanze usava parole di fuoco contro la “visione generale nella Commissione europea che è neoliberista o ortodossa”. “Io sono un socialista, un socialdemocratico! – sbottò – In Francia abbiamo elezioni, abbiamo scelte politiche e stiamo difendendo la nostra strada”. Tradotto: gli elettori ci han votato e facciamo ciò che ci chiedono. Sembra di sentire Salvini.
Qualcuno glielo ha fatto notare durante la conferenza stampa di ieri sulla bocciatura della manovra italiana e Moscovici si è arrampicato sugli specchi. “Erano affermazioni da campagna elettorale”, ha provato a difendersi ricordando di aver comunque ridotto da ministro “il deficit sia strutturale che contingenziale” perché “persuaso che il debito pubblico sia nemico dell’economia e della popolazione”. Per Moscovici tuttavia gli sforamenti francesi erano accettabili perché “eravamo in crisi e crescita debole”. Come a dire: la nostra difficoltà va bene, i vostri 5 milioni di poveri no.
Che magnifico camaleonte. Solo cinque anni fa il “problema” dell’Europa era che veniva “percepita come punizione” e non come aiuto per gli Stati. Aveva ragione. Peccato che dopo il suo sbarco a Bruxelles le cose non siano cambiate molto, visto il boom dei partiti che il Nostro definisce “populisti”. Lui invece è un’altra persona. E l’austerità che tanto condannava ora la chiede all’Italia.