Boom di immigrate arrivate in Italia per partorire: così sfruttano il generoso sistema sanitario italiano
di Admin · 22 Ottobre 2018
Sono incinte e raggiungono i mariti in città “Anche a 36-37 settimane e senza analisi”
In Italia per partorire. Il generoso sistema sanitario tricolore assicura anche questa garanzia, alle donne straniere. In concreto si tratta di una sorta di ricongiungimento-lampo coi mariti che di solito lavorano in Italia, un ricongiungimento che dura un paio di settimane appena, giusto il tempo di usufruire dei servizi prima di tornare nel Paese d’origine, in genere l’Egitto.
In Italia ormai, il 20% dei parti riguarda madri non italiane. Al Centro-Nord si arriva al 25%, in Lombardia al 30%. Le madri straniere, nel 25% dei casi, sono africane. Questo fenomeno però va oltre le giuste cure per le residenti: è legato invece al caso del tesserino Stp (Straniero temporaneamente presente) che secondo la denuncia di alcuni medici dà agli stranieri – anche se irregolari – il diritto di ricevere cure di ogni tipo, urgenti e no, salvavita o di routine, con tanto di anonimato garantito.
In questo caso si tratta di donne (non necessariamente irregolari) che arrivano a Milano proprio per partorire. Fra le prestazioni garantite anche a cittadini stranieri non iscritti al sistema sanitario nazionale sono infatti previste espressamente quelle a tutela della gravidanza e della maternità. E il direttore del reparto di ginecologia di un importante ospedale milanese testimonia cosa avviene in concreto: le partorienti arrivano praticamente alla vigilia del lieto evento, spesso in compagnia del marito, in genere non presentano documentazione di alcun tipo ma chiedono di essere seguite fino al parto, spesso cesareo. Al medico italiano non resta che assecondarle, facendo in pochi giorni tutti gli esami possibili, trovando loro un posto e cercando ovviamente di evitare complicazioni o problemi, anche in quadro che è carente di riscontri obiettivi e difficoltoso in termini di anamnesi, dal momento che queste donne generalmente non parlano una parola d’italiano (il personale si serve di un traduttore telefonico per parlare con loro). «Arrivano – racconta – quando sono a 36-37 settimane, direttamente da Linate a volte. E spesso dall’Egitto, dove evidentemente gli ospedali più dignitosi sono a pagamento. Non si capisce come possano viaggiare in aereo in uno stadio così avanzato della gravidanza, visto che in casi analoghi si chiedono molti certificati. Comunque arrivano, a volte con il tesserino Stp, accompagnate dal marito che in genere parla italiano e dice: Mia moglie deve fare il cesareo, e spesso sono precesarizzate». «Il problema – prosegue il medico – è che non hanno in mano niente, neanche un documento, neanche un esame. Dobbiamo fare tutto in breve tempo». E vigono ovviamente tutte le responsabilità del caso: «Mi è capitato di recente una donna con diabete e ipertensione, possono esserci complicazioni. Noi dobbiamo sistemarle o trovare un posto altrove, fare il possibile. E a volte di posto non ce n’è, e dobbiamo trovarlo lo stesso».
Il problema, dunque, sono anche le risorse limitate: «Noi curiamo, ma riusciamo a dare tutto a tutti?», chiede retoricamente Stefano Carugo, noto cardiologo che lavora in un ospedale pubblico (è direttore di Cardiologia e Unità coronarica dell’Azienda Santi Paolo e Carlo e professore associato di Malattie cardiovascolari). «Noi curiamo tutti ma se c’è qualcuno che pensa di fare il furbo usufruendo della generosità del nostro sistema, questo è un problema».