I porti chiusi inguaiano le coop. Senza migranti industria in crisi
Signori, abbiamo un problema. Anzi: avete un problema. Cooperative, Srl, associazioni e via dicendo che in questi ultimi anni si sono gettati anima e cuore nella gestione dell’accoglienza ora rischiano di rimanere senza migranti e quindi senza più i tanti fondi incassati fino ad oggi.
Il risultato? Molte chiudono, altre sono costrette a licenziare. Da quando di immigrati nelle coste italiane non ne sbarcano più, manca la materia prima di quella che più volte è stata definita la “fabbrica dell’accoglienza”. E che ora è in crisi. Nera.
I numeri degli sbarchi dicono che nel 2018, (siamo ormai alla fine dell’anno) di immigrati ne sono arrivati 21.426. Se si guarda al dato dello stesso periodo dell’anno scorso la differenza è abissalle: nel 2017 ne sbarcarono 108.384 e nel 2016 ben 144.574. La conseguenza del calo dell’80% degli sbarchi ha una conseguenza diretta: occorrono meno posti nei centri di accoglienza e chi ne aveva aperti ora non ha stranieri cui assegnare le brande.
Come scrive La Verità, un esempio lampante arriva dal Cara di Mineo. Qui saranno ospitati ben 600 immigrati in meno rispetto al passato. Da 3mila a 2.400: sono sempre molti, e costano 40,9 milioni di euro, ma il taglio produrrà comunque un calo degli introiti. Tanto che i sindacati sono già sul piede di guerra visto che circa 200 persone rischiano di perdere i posti di lavoro.
Oltre al Cara di Mineo, ci sono altri casi in tutta Italia. A Bergamo la Ruha ha annunciato che rivedrà il personale e altre, scrive La Verità, potrebbero chiudere. “Mentre si riduce in maniera netta l’accoglienza a profughi, migranti e transitanti su tutto il territorio nazionale a seguito delle nuove politiche adottate dal governo in carica – spiegano Sara Pedrini di Fp-Cgil e Alessandro Locatelli di Fisascat-Cis – e mentre si prevede la riduzione dei fondi ad essa collegata, si è giunti anche nella nostra provincia a una grave situazione di difficoltà delle realtà sociali che operano in questo settore”.
Situazione simile si è registrata a Benevento (120 lavoratori licenziati da un Cas), in Molise (3mila posti in 80 strutture ora in crisi) e a Biella, dove dei 663 posti disponibili solo 500 erano occupati. E così hanno chiuso un centro di Vercellino, un altro a Granero e chissà che altri non seguano la stessa strada. In fondo è stata la responsabile della coop Maria Cecilia, Enzo Calise, ad ammettere che “gli arrivi sono quasi nulli” e chi ancora dorme nei centri di accoglienza sono in Italia già da tempo. Manca insomma il ricambio generazionale. Quello che mantiene le strutture sempre piene.
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