Le monete d’oro trovate a Como e un mistero lungo 1500 anni
Immaginate di fare quattro passi per la Como dell’anno del Signore 474. Mentre vi avvicinate alla così detta porta pretoria con le sue due torri ottagonali salutate il picchetto di guardia alle mura e il suo decurione: «Ave atque Vale».
Se non vi fate distrarre dalle terme poste extra moenia, e tirate dritto, percorrete il cardo che prosegue rettilineo verso l’interno della città, magari passando dal passaggio pedonale della doppia porta per non farvi schiacciare da un carro. Per secoli la porta è stata quasi sempre aperta e poco sorvegliata. Ora le cose sono un po’ cambiate, l’hanno stretta. Potreste pensare di andare verso il porto, verso il teatro o verso il foro. Tutte belle passeggiate per questo Oppidum la cui costruzione deve molto a Cesare.
Ma in realtà, se doveste possedere una macchina del tempo, fareste meglio a dirigervi in un punto un più periferico della città, in una delle vie che affiancano il cardo e che corrispondeva, più o meno, all’attuale via Diaz. Nel punto in cui ora sorge l’ex teatro Cressoni potreste trovarvi davanti ad un grande mistero storico. Forse c’è un’antica «banca»? Un edificio pubblico in cui veniva depositato del denaro? O la casa di un ricco?
Peccato non poterlo fare davvero questo viaggio nel tempo, per ora dobbiamo accontentarci di uno dei ritrovamenti archeologici più incredibili della Lombardia. Niente di monumentale sia chiaro. Anzi, un contenitore di pietra ollare tutt’altro che enorme emerso, ai primi di settembre, proprio grazie dei lavori che si stanno svolgendo per la demolizione delle strutture interne dell’ex teatro. Ma dentro il contenitore oltre mille monete romane d’oro le cui ultime emissioni datano 472-474. Nel contenitore le monete erano ordinatamente impilate, all’origine, proprio come si farebbe in una banca o in una cassetta di sicurezza. Come spiega al Giornale Barbara Grassi del Mibact: «La soprintendenza ha da anni attivato un sistema di monitoraggio e controllo per tutti i cantieri che operano nel perimetro di valore archeologico. E in questo caso gli archeologi erano proprio presenti nel cantiere. Io stessa ho notato il giorno prima della scoperta una zona con terriccio chiaramente di colore diverso all’interno del perimetro di una struttura romana tardo antica e ho ordinato di procedere allo scavo in quel punto. E lì abbiamo ritrovato il ripostiglio, ovvero il vaso monoansato in pietra ollare. Era già rotto e quindi abbiamo capito subito cosa contenesse».
Ma nessuno poteva aspettarsi che le monete fossero davvero così tante. Forse davvero troppe per lasciar pensare al patrimonio di una singola persona. Ovviamente i ricercatori vanno coi piedi di piombo e i comunicati della soprintendenza sono asciutti e senza azzardi, così il Soprintendente Luca Rinaldi: «Con la conclusione del microscavo è stata ultimata la prima tappa di un percorso che sarà necessariamente lungo per consentire una piena comprensione e valorizzazione del ripostiglio e del suo contesto». È prudentissima anche parlando con noi Barbara Grassi: «La cifra così precisa di mille è di per sé strana. Siamo sicuri da come sono posizionate le monete che fossero impacchettate e impilate. Di certo la cifra è imponente ma esistevano anche romani molto ricchi. L’idea di un deposito di denaro pubblico però sarebbe affascinante».
Però un po’ la fantasia la fa correre questo tesoro e non essendo archeologi professionisti potremmo azzardarci a immaginare un poco. Apparteneva a un argentarius (banchiere e cambia valute romano) a un gruppo di argentarii? Como era un centro di navigazione e di commercio molto importante, soldi pubblici di dazi e gabelle? Di certo le monete datano proprio agli ultimi anni dell’Impero d’Occidente. Nel 475 d.C. Oreste, l’ultimo generale che cercò di salvare l’Impero romano depose l’imperatore Nepote per elevare al trono il proprio figlio Romolo Augusto. Odoacre, capo delle truppe appartenenti alla tribù dei Getuli, facendo leva sul loro malcontento per la paga troppo bassa, gli si ribellò. Sconfitto, Oreste viene fatto prigioniero e giustiziato. Furono quei torbidi a provocare lo smarrimento del tesoro? Un classico tesoro nascosto per sfuggire alla rapacità dei «barbari» (spesso ex mercenari imperiali) e poi andato perduto? O è stato qualcuno dei torbidi successivi a far sparire dalla storia questi mille solidi (monete d’oro del peso teorico di circa 4,5 grammi) con stampati sopra i profili di Onorio, Arcadio, Teodosio, Valentiniano III, Maggioriano, Libio Severo, Antemio e Leone I? Difficilmente lo sapremo.
Ancora la dottoressa Grassi: «Nel tardo impero la situazione instabile poteva spingere facilmente a nascondere del denaro. Stiamo indagando anche sulla forma del contenitore, è molto strano e particolare, ci dirà di più… Stiamo anche indagando su tutte le strutture intorno. Di sicuro lì sono stati costruiti degli edifici tardo antichi a partire dal IV secolo dove prima esisteva una strada romana più antica. Ne vediamo le tracce e potrebbero aiutarci a capire. Ma è una zona di scavo difficile. Viene continuamente invasa dall’acqua e servono le pompe e in più siamo in piena città; non possiamo scavare come se fossimo in un prato ci sono mura perimetrali e fondamenta…».
Quel che è certo è che la Sovrintendenza sta anche cercando di trovare un modo di esporre al pubblico, quando sarà il momento, questo ritrovamento che è davvero notevole e che cambia le prospettive di gestione di quel gioiellino (piccolo piccolo) del locale museo archeologico, il «Paolo Giovio». Ha una bella sezione su Novum Comun romana ma un reperto così cambierebbe tutto. «Il reperto – spiega la dottoresa Grassi – è di proprietà statale, Como è la sua collocazione naturale, ma ovviamente servono standard di sicurezza adeguati, non è come esporre ceramiche».
Ma guardando tutte queste monete una certezza c’è. Sono sogni interrotti e rimasti bloccati per secoli nel terreno. Qualcuno le ha contate, posizionate e messe in un posto sicuro pensando al futuro, magari sperando di sfuggire alle paure del presente. Ma quel futuro non c’è stato. Qualcuno ha perso i suoi sogni e il suo tesoro. Un tesoro (solo il peso in oro equivale a circa 150mila euro ma non rende l’idea del valore reale) che ha dormito sotto i piedi dei comaschi per più di 1500 anni senza che nessuno si accorgesse.
IL GIORNALE.IT