Mattarella convoca Conte sul Colle. Ma il premier notaio non sa che dire

Roma – Alle 11, sotto il diluvio, mentre Giovanni Tria è ancora a Bruxelles alle prese con la sua mission impossible, tentare di tranquillizzare i suoi colleghi europei, un auto blu entra nel cortile del Quirinale senza dare troppo nell’occhio.

Dentro c’è Giuseppe Conte, chiamato a rapporto dal presidente, che vuole conoscere nel dettaglio «le idee e i passaggi successivi» sulla Finanziaria e mettere ben in chiaro un punto: se la Borsa cede, non è per il suo richiamo a tenere i conti in ordine. Il Colle non è a capo del partito dello spread.

Il premier appare però impaurito dalle prime reazioni della Ue e dei mercati alla manovra e cerca di una sponda, o almeno «un’interlocuzione» con il Quirinale. Sulle prossime mosse del governo, cioè sulla possibilità di correggere in corso d’opera la legge di bilancio per contenere il danno, Conte fa il vago, svicola, non è in grado di offrire al presidente spiegazioni convincenti. Piuttosto, lui si dice «spaventato» per le conseguenze internazionali dello strappo e dà voce ai diffusi timori della maggioranza per i giudizi delle agenzie di rating, attesi per la fine di ottobre: le previsioni sono pessime. Sergio Mattarella ascolta, comprende le preoccupazioni, ma più che allargare le braccia e offrirgli un caffè non può fare: del resto varare una Finanziaria in deficit, in questo momento, non è una bagatella.

L’incontro viene definito «informale», il clima è comunque cordiale e disteso: dopo Tria, peraltro in grande difficoltà, Conte resta la principale linea di contatto tra il presidente e il governo. Rimane però la profonda differenza di vedute. Il premier, nonostante le sue paure, difende l’impostazione della legge di bilancio giallo-verde e crede di riuscire a dare impulso all’economia reale.

Mattarella è di tutt’altro avviso, come ha fatto capire sabato quando ha ricordato l’obbligo costituzionale a garantire l’equilibrio di bilancio e a difendere il potere d’acquisto delle famiglie. Già l’idea di discostarsi dall’1,6 per cento, come era aveva promesso, per il Colle è un grande azzardo. Ma poi, a condizionare negativamente il giudizio, è il tipo di interventi previsti, spese assistenziali e non investimenti produttivi. Così non c’è da stupirsi se i mercati ci puniranno. Anche se, al momento, la catastrofe finanziaria non c’è stata, lo spread è salito «solo» a quota 280.

Certo, Mattarella non può stare tranquillo, come gli chiedevano l’altro giorno Matteo Salvini e Luigi Di Maio, perché la situazione resta esplosiva e margini per dei passi indietro ancora non si vedono. Ma la manovra è ancora una bozza, come dimostra la breve apparizione di Tria a Bruxelles, prima del suo improvviso ritorno a Roma per completare il documento. Quasi una fuga, della quale Mattarella e Conte non sapevano nulla. Dimissioni in vista? Al Colle, non risulta. Non per ora almeno.

Forse però c’è ancora uno spazio di trattativa. Il capo dello Stato, dopo aver detto pubblicamente la sua, adesso preferisce restare in silenzio per non essere accusato di fomentare lo spread. E Conte mantiene il filo del negoziato aperto. «Oggi ho avuto un incontro – come ne ho regolarmente – con il presidente per un aggiornamento sui contenuti della manovra economica e sul decreto immigrazione e sicurezza che è in arrivo al Quirinale. Si è trattato di un proficuo scambio svoltosi in un clima sereno e costruttivo».

IL GIORNALE.IT

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