Giovanni Tria in missione in Cina: il ministro doveva salvare l’Italia, quanti milioni ha perso
La missione in Cina del ministro dell’ Economia Giovanni Tria e del vicedirettore di Bankitalia Fabio Panetta ha prodotto effetti importanti a livello dei titoli del debito pubblico. Peccato che non siano i nostri ma quelli emessi dall’ ex Celeste impero.
Forse aveva ragione il titolare del dicastero di via XX Settembre, quando – sollecitato dai giornalisti che lo hanno accompagnato a Pechino – ha risposto secco: «Non sono certo qui per vendere i Btp. La visita in Cina? È di profilo istituzionale, non certo finalizzata a cercare compratori dei nostri titoli di Stato». E infatti è accaduto l’ esatto contrario. Anziché convincere gli investitori ad entrare sui nostri titoli pubblici, la Banca d’ Italia annuncia la decisione di costituire un portafoglio in renminbi, con investimenti principalmente in titoli di Stato cinesi
Riserve valutarie – In una nota, Palazzo Koch sottolinea che questa modalità diretta di investimento, condotta «nell’ ambito della gestione delle proprie riserve valutarie, si aggiunge a quella avviata negli anni recenti con la sottoscrizione di un fondo specializzato in renminbi gestito dalla Banca dei regolamenti internazionali». Come dire: non meravigliatevi, non sono i primi titoli pubblici cinesi che acquistiamo.
E a questa precisazione ne segue una seconda. La decisione, fa sapere l’ istituto centrale, cade in coincidenza con la visita in Cina del ministro dell’ Economia Tria, ma «è stata presa nell’ ambito dell’ aggiornamento annuale delle strategie di investimento delle riserve gestite dalla Banca».
Di più: questa apertura «riflette l’ accresciuto ruolo del renminbi come valuta internazionale, testimoniato anche dal suo inserimento nel paniere delle valute di riserva del Fondo Monetario Internazionale nel 2016 , e l’ importanza della Cina quale partner commerciale del nostro Paese».
E oltre a rispondere a «obiettivi di diversificazione delle riserve valutarie della Banca d’ Italia» questa decisione, fanno sapere sempre da Via Nazionale, «è in linea con analoghe decisioni adottate di recente dalla Banca centrale europea e da altre banche centrali dell’ area dell’ euro».
Le transazioni – conclude la nota di Palazzo Koch – saranno intermediate dalla Banca centrale di Pechino «con la quale è stato concluso un apposito accordo, in qualità di agente della Banca d’ Italia sui mercati cinesi».
Bond popolari – Il valore complessivo del portafoglio d’ investimenti in Cina è pari a 300 milioni di euro, dei quali almeno 200 in titoli di debito della Repubblica Popolare. Il resto, presumibilmente, in azioni e bond di società locali. Ed è singolare che l’ istituzione guidata dal governatore Ignazio Visco annunci con disinvoltura un’ operazione di questa portata.
Non tanto per la consitenza dell’ investimento, anche se fatto con le riserve. Quanto perché da decenni la politica di Palazzo Koch è diversa. Era il 1981 quando l’ allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scriveva al Governatore della Banca d’ Italia Carlo Azeglio Ciampi una lettera storica che avviò il divorzio tra le due istituzioni. L’ istituto centrale smise di lì a poco di acquistare i titoli del debito pubblico italiano. Ora ha ricominciato. Con quelli cinesi.