Manovra, schiaffo a Salvini: altri soldi per il Meridione
La manovra guarda più al Sud che al Nord. In qualche misura c’era da aspettarselo se si considera che il decreto Dignità ingessa i contratti di lavoro nel Settentrione più produttive.
E se si pensa al progetto di taglio lineare (oltre a quella di ricalcolo contributivo) delle cosiddette «pensioni d’oro» che colpisce gli assegni superiori ai 4mila euro netti la cui distribuzione è più omogenea nelle Regioni settentrionali.
Ieri, infatti, il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, ha confermato le indiscrezioni circolate negli ultimi circa una particolare attenzione verso il Mezzogiorno della manovra 2019. L’intenzione è ampliare l’incentivo «Resto al Sud», varato dalla legge di Bilancio 2018 alzando il requisito anagrafico per farne richiesta (attualmente questa forma di bonus per gli imprenditori è limitata agli under 35). Si starebbe inoltre studiando l’ipotesi di istituzionalizzare la decontribuzione per chi assume a tempo indeterminato al Sud (al 100% fino a un tetto di 8.060 euro) in scadenza quest’anno. Nel dossier, che dovrà anche ricevere l’avallo del ministro Tria, vi sono anche le semplificazioni per l’utilizzo dei fondi europei, oltre a un incremento degli stanziamenti ordinari in conto capitale (dal 29 al 34% del totale sulla base del criterio della popolazione residente) oltre allo sblocco dei cantieri di Anas e Rfi.
Nessuna di queste misure è particolarmente innovativa perché riprende le linee guida già tracciate dal Partito democratico, tradizionalmente forte nel Meridione prima che fosse travolto dalla valanga pentastellata. La domanda da porre, però, è: «Al Nord che cosa resta?». Un’eventuale riorganizzazione dell’amministrazione fiscale (vedi pagina a fianco) potrebbe penalizzare ulteriormente le imprese settentrionali facendo loro sentire il fiato sul collo di Guardia di finanza ed Entrate.
Il quadro che ne deriva è quella di una Lega sostanzialmente perdente nei confronto di una cabina di regia saldamente in mano a Di Maio & C. Ecco perché ieri sera da Lesina il vicepremier del Carroccio è tornato sulle questioni prettamente economiche ripetendo i suoi mantra. Nella legge di Bilancio, ha detto, «il governo farà di tutto per rispettare i vincoli europei, ma prima viene il benessere degli italiani, il diritto al lavoro, il diritto alla pensione e il diritto alla salute». La promessa è sempre la medesima: realizzare anche in ambito economico «la rivoluzione che abbiamo già messo in atto sull’immigrazione: piaccia all’Europa o no smontiamo la Fornero».
Per Salvini questa è una necessità, visto che incalzato soprattutto dalle iniziative di Forza Italia nelle Regioni settentrionali, deve ribadire al proprio elettorato di riferimento che quelle istanze non saranno trascurate. I fatti, fino ad ora, dicono il contrario. È vero che l’Unione europea è pronta a concedere un altro po’ di flessibilità all’Italia ma quella dovrà essere impiegata soprattutto per evitare l’aumento dell’Iva. La flat tax sarà solo sperimentale l’anno prossimo limitandosi a un innalzamento della soglia di accesso regime dei minimi per pmi e professionisti. I capisaldi leghisti, pensioni escluse, sono di fatto rinviati al 2020. Con buona pace dello stesso Salvini
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