Più figli, meno tasse Il governo rispolvera il quoziente familiare
E Salvini disse «qualcosa di centro». Nell’estate delle mille polemiche su fisco e welfare, il vice premier intervistato dal sito di ispirazione cattolica La Nuova bussola quotidiana rispolvera un classico del riformismo centrista.
«L’obiettivo che mi pongo da qui fino a fine governo – annuncia – è introdurre il concetto di quoziente familiare, in modo da premiare la natalità e la scommessa sul futuro». Il quoziente familiare mette al centro della tassazione la famiglia attraverso un meccanismo di calcolo complesso, ma che si può semplificare immaginando di sommare i redditi dei coniugi e dividerli per il numero dei componenti, applicando la tassazione sull’importo medio che ne deriva. Chiaramente, il vantaggio è tanto maggiore quanto più è numeroso il nucleo familiare.
Il principio stona invece alle orecchie della sinistra, anche perché considerato meno progressivo rispetto agli assegni familiari, che si riducono rapidamente all’aumentare del reddito. Il problema è che si riducono talmente in fretta che quando si arriva alle cifre del ceto medio, degli sgravi restano solo le briciole.
Le prime reazioni infatti arrivano dal Pd. «Salvini – dice il senatore Edoardo Patriarca – non si è reso conto che la campagna elettorale è finita? Ora promette pure il quoziente familiare, cosa che non farà mai visto che non è previsto nel contratto di governo Lega-M5s». In realtà, sebbene nelle ultime settimane dalla Lega siano spesso arrivati annunci rapidamente smentiti dagli alleati pentastellati, questo non è il caso del quoziente familiare. Nel contratto di governo si legge che «punto di partenza è la revisione del sistema impositivo dei redditi delle persone fisiche e delle imprese, con particolare riferimento alle aliquote vigenti, al sistema delle deduzioni e delle detrazioni e ai criteri di tassazione dei nuclei familiari». Una formulazione piuttosto generica, ma che sembra in effetti introdurre il principio del nucleo familiare che, per quanto riguarda le imposte dirette, l’Irpef, è poco considerato dal nostro ordinamento, che tassa il reddito dei singoli. Ancora più esplicita è la pentastellata Laura Castelli che parla di «coefficiente familiare», definizione alternativa, concetto identico: «Se c’è una cosa che abbiamo in comune con la Lega – dice al Giornale il vice ministro all’Economia – è l’idea del coefficiente familiare, che era già presente nella legge sul reddito di cittadinanza che avevamo presentato nella scorsa legislatura». Per Laura Castelli, dunque, il quoziente familiare è tra gli obiettivi del governo che potrebbero rientrare perfino nella manovra in arrivo.
Un recente studio de Lavoce.info sostiene che il quoziente familiare aiuterebbe solo i ricchi. «È una vecchia polemica – ribatte Luigi Campiglio, docente di Politica economica alla Cattolica – come quella che scoraggerebbe il lavoro delle donne. Più delle analisi teoriche, – spiega – mi fido della realtà: in Francia, dove è applicato da anni, non è successo, mentre si è avuto l’effetto di equità di tassazione a parità di figli. Speriamo sia la volta buona». IL GIORNALE.IT