Matteo Salvini teme il massacro dei mercati: ecco perché ha ragione

Ma che caldo fa. La colonnina del mercurio dei mercati finanziari segnala l’aumento della temperatura destinato, ahimè, a proseguire in autunno. Il costo del denaro tende a salire sotto la spinta del boom americano e l’approssimarsi della fine degli acquisti della Bce. A complicare il quadro, oltre all’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato, contribuisce il rallentamento dell’economia, in Italia ma non solo. Insomma, la strada è in salita, per giunta complicata dal nervosismo degli operatori finanziari, per tradizione sospettosi di fronte alle novità.

Non è una partita facile questa che si accinge a giocare il governo. E Matteo Salvini ne è consapevole. Così come è convinto che il governo del cambiamento deve saper produrre una manovra del cambiamento, in grado di convincere gli italiani e i mercati che l’esecutivo intende abbracciare una strategia di crescita sostenibile, senza cedere al “ricatto” dello spread ma neanche a scorciatoie velleitarie. È la capacità di stimolare e sostenere la crescita la vera cartina di tornasole delle ambizioni del governo. «Nessuno chiede tutto e subito – ha detto il vicepremier – ma se gli italiani avessero voluto una copia delle precedenti leggi di stabilità si sarebbero tenuti Monti o Letta. Invece no, solo così il governo dura e va avanti».

Ma il cammino verso l’avvio della flat tax, il superamento della Fornero e il ritorno a “quota 100” per le pensioni oltre ad alcune operazioni immediate, come l’eliminazione delle vecchie accise sulla benzina, è lastricato di incognite. Occorre, infatti trovare le risorse per: a) sterilizzare le clausole dell’Iva e scongiurare l’aumento (12,5 miliardi); b) trovare altri 3,5 miliardi per spese indifferibili; c) far fronte ad un probabile aumento di spese per interessi (4 miliardi) e ai costi imposti da una minore crescita (almeno 2,5 miliardi). Una situazione difficile, certo, ma la quadratura del cerchio non è impossibile, purché si proceda secondo una strategia chiara da presentare ai mercati

MISURE ANTI-CICLICHE
Fin da subito vanno messe in opera operazioni anticicliche in grado di contrastare la frenata della crescita. Sarebbero sufficienti due decimi di crescita del Pil in più nel 2019 rispetto alle previsioni Ue e Fmi (tra 1 e 1,1%) per ridurre di 2 miliardi l’effetto sul deficit dei conti per l’anno prossimo. Decisiva sarà la trattativa con Bruxelles per ottenere sul deficit strutturale un trattamento simile a quello dello scorso anno (uno “sconto” di 11 miliardi circa rispetto al deficit dello 0,4% promesso dal Def presentato dal governo Gentiloni). Anche così resteranno da trovare 11 miliardi, cifra che potrebbe essere fortemente ridotta se si riuscisse a ridurre l’impatto della frenata dell’economia e l’aumento dello spread, fenomeni in buona parte legate alle incertezze del quadro politico: il rinvio di decisioni sull’Ilva, il no alla Tav e le complicazioni insorte su altri dossier non depongono a favore della ripresa della crescita.

In un contesto più propositivo si possono trovare più soluzioni, a partire dal taglio orizzontale delle agevolazioni (oggi lo sconto arriva al 19%, l’ipotesi è farlo scendere al 15%), magari salvando solo detrazioni e deduzioni su spese sanitarie o gli interessi sul mutuo della prima casa. Un taglio orizzontale per un miliardo di euro che potrebbe salire se venissero eliminati gli “sconti” oggi applicati sulle voci più varie, compresa l’agevolazione per la ristrutturazione delle piscine domestiche. Senza trascurare la riduzione delle franchigie o un tetto alle agevolazioni che potrebbero far risparmiare allo Stato un altro miliardo.

NON C’È UN COSTO ZERO
Le soluzioni non mancano. Anche se non è possibile trovare una strada a costo zero. Sarà importante partire con il piede giusto, con una ricomposizione del bilancio che premi gli investimenti. Un primo test ci sarà oggi con due emendamenti al Milleproroghe che sbloccano investimenti per un miliardo in due anni in regioni ed enti locali (finanziati dalla legge di bilancio 2018) e riattivano il maxi fondo (35 miliardi in 15 anni) già bloccato dalla Consulta per un conflitto di competenze Stato-Regioni. Ma è evidente che, per attivare un ciclo virtuoso per gli investimenti, è necessario intervenire sulla spesa corrente. Un problema politico, più che tecnico. A Salvini l’onere del far quadrare il cerchio anche facendo fruttare le armi a disposizione, dalla riduzione delle accise alla rottamazione delle cartelle fino al negoziato con la Commissione Ue. Sperando che il vicepremier non debba affrontare il fuoco amico dell’alleato di governo.

 

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