Governo, verso la manovra correttiva da 10 miliardi. Laura Castelli, il caos tra M5s e Lega

I documenti dell’ Unione Europea, soprattutto quelli partoriti ai vertici, non hanno un gran valore. L’ abbiamo capito a nostre spese quando tutti i Paesi della Ue si impegnarono a spartirsi i rifugiati ma alla fine i signori richiedenti asilo rimasero in Italia. Però le firme dei capi di governo e di Stato ai documenti hanno un peso. Politico almeno. Per cui non si capisce bene il motivo che ha spinto il premier Giuseppe Conte ad apporre la propria sigla a un testo, quello del Consiglio europeo, che di fatto ci impone una manovra.
Il testo uscito da Bruxelles in sintesi dice questo: «Si dovrebbe approfittare dell’ attuale situazione economica positiva per imprimere un maggiore slancio alle riforme». La prima raccomandazione all’ Italia è: «Assicurare nel 2019 un aggiustamento annuale in termini strutturali del bilancio pari allo 0,6% del Pil» (10,4 miliardi), di spostare la tassazione dal lavoro, di «rafforzare l’ uso obbligatorio dei pagamenti elettronici attraverso una soglia più bassa per i pagamenti in contanti, ridurre la quota di pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica». Una lista della spesa che ricorda quelle che ricevevano e applicavano i governi di centro-sinistra degli ultimi anni. Peccato che pure Conte abbia concordato con il documento.
TENTENNA Insomma, pare che ci toccherà una bella stangatina. Lo stesso premier, in conferenza stampa, non ha smentito alla domanda specifica di un giornalista: «Per la manovra bis vedremo, mi faccia ritornare in Italia, mi faccia parlare con i ministri economici, innanzitutto, con il ministro dell’ Economia e con gli altri ministri e ci confronteremo», ha risposto. Cos’ è? Aveva finito i discorsi preconfezionati? Ma se non ha ancora deciso se farà la manovra, almeno poteva risparmiarsi di firmare un documento che, invece, lo condanna a recuperare 10 e passa miliardi dalle tasche degli italiani. Altro che reddito di cittadinanza…
Ma se avevamo dubbi sul presidente del Consiglio ci ha pensato l’ onorevole grillina Laura Castelli, viceministro all’ Economia, a gelare i contribuenti. «Una manovra correttiva? «Non lo so, perchè la verità è che pare di sì, ma ancora non ci sono delle informazioni così chiare. Se ci sarà la necessità di fare una manovra correttiva noi ovviamente saremo in grado di farla», ha spiegato ad Agorà Estate su RaiTre.
Il vertice di Bruxelles in teoria avrebbe dovuto fissare anche nuove regole economiche, verso un sistema di condivisione dei rischi soprattutto bancari. Come è andata invece? Ovviamente male. Il testo finale ha tre punti, tutti e tre avvolti nella nebbia.
TUTTO RINVIATO 1) Entro fine anno i Parlamenti dovrebbero varare provvedimenti allo scopo di creare un paracadute continentale in soccorso degli istituti in crisi e relativa garanza sui depositi bancari, previa trattativa positiva con i vari partner Ue.
2) Il paracadute per il fondo salva banche dovrebbe essere finanziato dal Fondo Esm (il “vecchio” fondo salva-Stati) e «rafforzato operando sulla base di tutti gli elementi di una riforma del meccanismo stesso indicati nella lettera del presidente dell’ Eurogruppo». Quali? Non è dato saperlo. E l’ unione bancaria? A tal proposito c’ è stata «una discussione molto vivace», ha raccontato Conte: «A un certo punto ho bloccato tutto, nell’ interesse dell’ Italia, c’ erano cose che non andavano bene». Dopo una pausa l’ accordo però è stato trovato, «siamo riusciti a sbloccare il testo – ha aggiunto- con un punto che a noi sta molto bene, ovvero l’ istituzione del cosiddetto common backstop (cioè tutta la Ue ci mette i soldi in caso di crisi) per la sicurezza e la condivisione del rischio nel sistema bancario». Quindi abbiamo vinto?
3) No, si tornerà sul tema nel vertice di dicembre.
È una corsa contro il tempo. Ma in questo momento l’ intesa sulla Brexit a livello europeo è in altro mare. Lo dice il capo negoziatore Michel Barnier entrando al vertice europeo, le divergenze tra Londra e Bruxelles restano «serie» ed «ampie», mentre il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha allertato che se si vuole trovare un accordo a ottobre servono «progressi veloci». Nelle conclusioni adottate dai leader Ue si mette nero su bianco la «preoccupazione» per il fatto che non si siano ancora registrati «progressi sostanziali» in merito all’ accordo su una soluzione «di salvaguardia», il cosiddetto backstop per l’ Irlanda del Nord, e si ricordano gli impegni assunti dal Regno Unito al riguardo nel 2017 e nel 2018.Come atteso, inoltre, in vista della Brexit, si ridisegna il futuro Parlamento europeo una volta che i 73 eurodeputati britannici avranno lasciato l’ Ue: l’ eurocamera dimagrirà di 46 seggi, passando da 751 a 705 membri. I 27 seggi che resteranno orfani dei britannici saranno divisi: all’ Italia ne spetteranno 3, a Francia e Spagna 5 ognuna, 3 all’ Olanda e 2 all’ Irlanda. Svezia, Austria, Danimarca, Finlandia, Croazia, Slovacchia, Estonia, Polonia e Romania ne avranno uno in più mentre nessuno spetterà alla Germania che ha già la compagine parlamentare più numerosa, con 96 eurodeputati.
GIULIA SBARBATI La riduzione dei flussi migratori? È la pietra tombale del sistema previdenziale italiano. La dottrina Boeri, con il suo carico ideologico, si presenta come argine economico alla chiusura dei porti. È l’ anti Salvini. L’ idea è che sbarrare le frontiere non conviene. Senza migranti, sostiene il presidente dell’ Inps, il sistema previdenziale italiano naufraga e fallisce. Sono i soldi di chi arriva per lavorare qui a rimpinguare i forzieri della previdenza nostrana. Saranno gli immigrati, carne giovane e volenterosa, a pagare le pensioni future dei vecchi italiani. Ora, questa minaccia, già vaticinata in passato, ogni qualvolta il ministro di turno accarezza l’ idea di chiudere porti e frontiere, atterra con prepotenza nell’ arena della politica, creando discussioni e litigi. E allora, siamo a Milano, al Festival dell’ Economia. È da qui che il bocconiano lancia la sua fatwa: «Gli scenari più preoccupanti per quanto riguarda la nostra spesa pensionistica futura sono quelli che prevedono una forte riduzione dei flussi migratori. Questa riduzione è in atto e i flussi cominciano a non essere più sufficienti per compensare il calo della popolazione autoctona».
Il problema, insomma, «è serissimo». Così, «volenti o nolenti, l’ immigrazione può darci un modo di gestire questa difficile transizione demografica». Il «no» del prof è secco anche sulla riforma pensionistica giallo-verde e sulla fatidica «quota cento» che, avverte, «aumenta di molto la spesa pensionistica e peggiora il rapporto tra pensionati e lavoratori». Andando a tirare le somme, per il numero uno dell’ Inps, di quanto messo sinora in campo dall’ esecutivo si salva solo il taglio delle pensioni d’ oro, che potrebbe fruttare un risparmio di 200 milioni di euro: «Ragionare sul fatto che queste aree di privilegio possano essere ridotte è meritorio».
La replica stizzita di Matteo Salvini arriva con il consueto tweet d’ ordinanza: «Secondo Boeri, presidente dell’ Inps, la riduzione dei flussi migratori è preoccupante perché sono gli immigrati a pagare le pensioni degli italiani e la legge Fornero non si tocca. Ma basta!». Il consigliere regionale lombardo del Carroccio, Massimiliano Bastoni, invece, risponde a suon di numeri. «Gli stranieri, fra soccorso, assistenza sanitaria e alloggio ci costano annualmente 13 miliardi di euro, a fonte degli 11 versati dagli immigrati regolari come contributi pensionistici. I clandestini, poi, non versano niente». E ancora: «Chi difende a spada tratta l’ immigrazione finge di non sapere che meno del 10 per cento si vede riconosciuto lo status di rifugiato». Alla fine, l’ esponente leghista, lancia al prof un guanto di sfida. Lo andasse a chiedere «ai cittadini milanesi in lista da anni per le case popolari, che si vedono regolarmente scavalcati dagli extracomunitari» se l’ immigrazione ci aiuta.

 

 

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