Vaticano, la vergogna su Emanuela Orlandi dopo 35 anni: perché la Chiesa tace ancora
Oggi sono 35 anni dalla sparizione di Emanuela Orlandi. Libero non è un giornale da anniversari, ma l’ occasione si presta per manifestare un certo disagio verso le autorità preposte a ritrovarla: viva o morta, ma la madre ha diritto di sapere, o almeno di mettersi il cuore in pace all’ idea che si è fatto di tutto se non per riportarla a casa almeno perché si conosca il suo destino. Invece niente. Città del Vaticano e Italia sono due Stati che hanno fallito. Il problema è che non danno nemmeno l’ impressione di averci provato sul serio.
La storia per sommi capi. Il 22 giugno del 1983 Emanuela, cittadina del Vaticano, studentessa al Conservatorio situato vicino al Senato della nostra Repubblica, non tornò a casa dalla lezione di flauto traverso. Fu presto chiaro che si trattata di un rapimento e non della fuga di un’ adolescente. La famiglia era modesta, il padre Ercole era un messo senza potere negli uffici della Curia. In realtà tutti compresero presto che la famiglia a cui si era sottratta una figlia non erano gli Orlandi, ma era quella del Papa. Ci furono telefonate oscure, misteriosi personaggi “americani” si misero in contatto con la Segreteria di Stato, in particolare con Agostino Casaroli. Alì Agca, il killer turco che aveva ferito Giovanni Paolo II il 13 maggio del 1981, fece capire di saperla lunga, e propose uno scambio: io libero in cambio della ragazza. Mentiva? Assai probabile. Finché emerse una pista dove si mescolavano tutti i cattivi del mondo conosciuto: la banda della Magliana, Cosa Nostra, la P2, lo Ior e Marcinkus, forse la Cia, e – se è vero che Agca si mosse per eliminare un avversario di Mosca – pure il Kgb. Non sto ripetendo una litania a caso.
È un elenco di sospetti ciascuno dei quali ha provveduto a lasciare tracce, in una sequenza di fatti e di nomi che legano l’ attentato a Wojtyla, i mandanti comunisti dei colpi di pistola, i presunti finanziamenti a Solidarnosc tramite Ior coi soldi di Cosa Nostra, e infine la banda della Magliana come esecutrice materiale del sequestro e della sparizione della povera Emanuela.
LO STRAZIO DEI FAMILIARI
Da quel giugno 1983 è stato uno strazio, solo confortato dalle visite personali di Giovanni Paolo II nella casa delle angosce. Il padre è morto, la madre Maria da allora vive nell’ angoscia, mai rassegnata, il fratello Pietro sta conducendo una battaglia per impedire che la sorte della sorella sia sigillata in archivio.
Ora che c’ è da aggiungere? La magistratura italiana, competente per due ragioni: il Concordato e il luogo del sequestro, ha chiuso tutto, sostenendo che il Vaticano non ha collaborato. Il Vaticano, di cui Emanuela era anzi sperabilmente è cittadina, si è chiuso nel silenzio, sostiene di non avere alcun dossier sul caso, tramite il Sostituto Segretario di Stato e quasi cardinale (riceverà la porpora nel concistoro del 29 giugno) Giovanni Angelo Becciu, ha detto che il caso è chiuso. E che la Santa Sede nulla sa. Ma come mai allora Papa Bergoglio salutando Pietro Orlandi disse sicuro: «Emanuela sta in cielo». Quello è il posto dell’ anima, ma il corpo? Carte riservate, citate dall’ Espresso, riferiscono di una tomba anonima nel cimitero teutonico dentro le mura leonine. E di una presunta morte a Londra. Una ricostruzione smentita dal Vaticano. Ma come si vede il caso non può essere chiuso. Perché il Papa, che nega risolutamente di essere un mistico, è tanto sicuro del decesso di Emanuela, che avrebbe solo 50 anni?
La madre di Emanuela, Maria Orlandi ha incaricato uno dei rari avvocati accreditati presso il Tribunale del piccolo stato di non lasciar dormire la verità. Così Laura Sgrò dello “Studio legale Bernardini de Pace” sta provando a smuovere le montagne, per cui secondo il Vangelo basterebbe avere un granello di fede, ma qui ce ne vuole un quintale…
1) Un anno fa, giugno 2017, la Sgrò fece una “istanza di accesso agli atti” al Segretario di Stato, cardinal Pietro Parolin, e a oggi ufficialmente non ha risposto nessuno. La dichiarazione a mezzo stampa del sostituto, che dichiara il caso chiuso, non è propriamente il massimo della trasparenza giuridica, quasi a non voler far cantare le carte. Domanda: non sarebbe il caso che il Segretario di Stato aprisse quantomeno un dialogo con l’ avvocato della famiglia? Vedi alla voce carità cristiana verso le anziane madri.
2 ) Novembre 2017. L’ avvocato Sgrò presenta denuncia di scomparsa presso la gendarmeria vaticana – mai presentata fino a quel momento, essendo stata delegata la questione alle autorità italiane – e a oggi i magistrati vaticani non hanno mosso un dito, un foglio, una piuma. Nonostante la magistratura italiana, tra le altre cose, abbia indicato a chiare lettere attraverso tre richieste di rogatoria sin dal 1994 le persone (alti prelati, alcuni ancora in vita) dentro lo Stato Vaticano che giudicava indispensabile sentire. Alle rogatorie non fu mai dato seguito. Il Vaticano si è sempre trincerato dietro un silenzio assoluto.
3)Fonti confidenziali hanno indicato alla legale degli Orlandi, il boss di Cosa Nostra Pippo Calò, recluso nel carcere di Opera dal 1985 al 41 bis, come persona informata sui fatti. Era l’ uomo di collegamento tra la mafia siciliana e la banda della Magliana. Calò ha risposto all’ avvocato di voler parlare, e abbiamo la lettera autografa che spiega come facilitare la cosa. E la domanda della Sgrò al tribunale di sorveglianza di poterlo incontrare data aprile.
A oggi nessuna risposta. Non è un detenuto “normale”, il Calò. È un super carcerato, e ai termini di legge c’ è bisogno di un ok del ministero dell’ Interno. Pippo Calò – si badi – ha quasi 87 anni, ogni giorno è prezioso. Ha la stessa età di Maria, la madre di Emanuela, che avrebbe diritto ad una qualche forma di giustizia, avendo speso buona parte della sua vita nella finora vana ricerca di sua figlia. Calò ha anche tutti i procedimenti passati in giudicato, per cui qualunque cosa possa o voglia dire non addolcirà la sua posizione, non ha interesse a mentire. Per quale motivo vige il veto di ascoltarlo?
L’ APPELLO A SALVINI
Il tempo è nemico della verità e allora mi permetto un appello a Salvini, ministro degli interni, da cui dipende il 41 bis e al ministro della Giustizia, Bonafede. Prima gli italiani, ovvio. Ed Emanuela Orlandi e sua mamma sono cittadini vaticani, ma non è il caso di fare tutto il possibile per dare un segno della presenza delle istituzioni accanto alla famiglia? Oltretutto, lo scorso ottobre il senatore Vincenzo Santangelo (M5S), adesso sottosegretario ai rapporti col parlamento, ha presentato un disegno di legge per istituire una commissione di inchiesta sul caso Orlandi, con la promessa di riproporlo a nuova legislatura. Bene, ora i 5 stelle sono al governo, non sarebbe ora di cominciare a mantenere le promesse elettorali, su un caso minore, ma che per una madre è gigantesco più di una stella, più di una galassia?